Vygotskij costruì una visione storico-culturale della psicologia evolutiva dando rilevanza alle attività mentali più alte, come il pensiero, la memoria e il ragionamento; estese le tesi di Marx ed Engels allo sviluppo umano secondo cui gli uomini trasformano se stessi attraverso il lavoro e l’uso di strumenti.

Il modo di produzione economica determina le condizioni di lavoro delle persone e le interazioni sociali, che a loro volta ne influenzano le cognizioni: stili cognitivi, atteggiamenti, percezione della realtà e convinzioni. Sono le interazioni con altre persone all’interno dei vari contesti sociali e gli “strumenti psicologici”, come il linguaggio, usati in queste interazioni che plasmano il pensiero del bambino. L’azione fatta con strumenti crea il pensiero.

Secondo la concezione contestualista di Vygotskij, gli individui sono inseriti all’interno di un tessuto sociale o contesto di conseguenza, il comportamento umano non può essere studiato avulso da tale tessuto sociale. Dal punto di vista evolutivo, il contesto definisce e plasma il bambino, rendendo lo sviluppo psicologico un processo di interiorizzazione di attività funzionale allo sviluppo della vita sociale e alla mediazione tra le persone.

La cultura consiste di credenze, valori, conoscenze, abilità, relazioni strutturate, modi e sistemi simbolici, ma comprende anche ambienti fisici ed oggetti. E’ la risposta di un gruppo al proprio contesto ecologico e fisico, che privilegia certe forme di attività economica. Queste attività impongono una particolare organizzazione sociale e divisione del lavoro, che a loro volta influenzano le pratiche educative dei bambini.

Lo sviluppo psicologico, dunque, avviene sempre nel contesto di una cultura (che lo influenza) e attraverso lo scambio e la comunicazione con gli altri.

Su questa base, Vygotskij individua una stretta relazione tra sviluppo e apprendimento: egli, infatti, considera il bambino come un costruttore attivo delle sue conoscenze, all’interno però di un contesto socio-culturale che gliene offre gli strumenti. Per meglio delineare questa posizione, Vygotskij si serve del concetto di “zona di sviluppo prossimale”.

La zona di sviluppo prossimale viene definita come la distanza tra “ il livello attuale di sviluppo, così come è determinato dal problem-solving autonomo”, e il livello più alto di “sviluppo potenziale, così come è determinato attraverso il problem-solving sotto la guida di un adulto o in collaborazione con i propri pari più capaci”.

Questo processo, dunque, prevede che una persona più competente collabora con il bambino al fine di aiutarlo a muoversi dal punto in cui si trova al punto dove può trovarsi facendosi aiutare. Cioè l’adulto più abile si basa sulla competenza che il bambino già possiede e gli presenta delle attività che richiedono un livello di capacità lievemente al di sopra di dove si trova ora il bambino.
Questa persona, fungendo da modello, guida e indirizza il bambino, attraverso la partecipazione collaborativa, l’incoraggiamento, la discussione , il confronto.
La zona di sviluppo prossimale si differenzia dal livello reale di sviluppo, perché mentre questo caratterizza lo sviluppo retrospettivamente, la zona di sviluppo prossimale lo caratterizza prospettivamente. Vygotskij ritiene infatti, che l’educazione dovrebbe essere basata sul livello potenziale dei bambini, piuttosto che su quello reale

Vygotskij crede che lo sviluppo possa venire compreso solo osservando direttamente il processo di cambiamento, e non un bambino statico. Egli, infatti, osserva direttamente la successione di azioni e pensieri del bambino mentre cerca di risolvere un problema.
Un modo per valutare la zsp è quello di fornire una singola informazione e osservare i miglioramenti del bambino, oppure si può presentare, durante la fase in cui c’è l’aiuto dell’adulto, quegli aspetti del problema che il bambino inizialmente non aveva capito.
Vygotskij, quindi nei suoi studi, osserva i cambiamenti che si verificano durante una o più sedute sperimentali. Tale metodo è chiamato microgenetico.

L’apprendimento all’interno della ZSP avviene grazie all’intersoggettività, ovvero un modo comune di vedere le cose basato su un punto sul quale concentrare l’attenzione e su un obiettivo che il bambino e la persona  più competente condividono.

E’ importante sottolineare che, secondo Vygotskij, all’interno della zsp il comportamento del bambino e quello dell’adulto si influenzano in maniera reciproca, l’educazione quindi non è unidirezionale. I bambini, infatti, contribuiscono attivamente in quanto motivati ad imparare, invitano l’adulto a partecipare e in maniera graduale si assumono una maggiore responsabilità nel portare avanti l’attività. E l’adulto adatta il livello di aiuto alla risposta del bambino.
Bronfenbrenner ha identificato quattro modalità in cui il temperamento dei bambini plasma attivamente i loro contesti sociali:

  • gli attributi personali incoraggiano o meno le reazioni altrui: per esempio un bambino schizzinoso può essere più facilmente rifiutato dagli adulti che non un bambino felice e sorridente
  • i bambini mostrano differenze individuali nella tendenza ad avvicinarsi e ad evitare aspetti particolari del mondo fisico e sociale.
  • i bambini si differenziano anche per la tendenza ad impegnarsi in attività sempre più complesse
  • le differenze di età e individuali si manifestano anche nelle concezioni che i bambini hanno rispetto al proprio potere di raggiungere gli obiettivi e controllare i propri successi e fallimenti.

Nelle situazioni di apprendimento l’adulto può svolgere alternativamente 2 ruoli: uno di tutor e l’altro di didatta. Nel primo caso, l’adulto si lascia guidare dagli interessi del bambino, nel secondo caso, invece, è l’adulto che guida l’acquisizione delle conoscenze del bambino verso aree che egli stesso sceglie.
La condizione ideale è quella in cui il ruolo dell’adulto risulta calibrato, nel senso che nelle fasi iniziali di risoluzione di un compito l’adulto svolge gran parte della prova, mentre nelle fasi successive riduce il suo intervento e lascia spazio al bambino per consentirgli di arrivare autonomamente alla soluzione.Questa relazione bambino/adulto, che si sviluppa a livello interpsichico, porta il bambino ad interiorizzare i contenuti della relazione stessa, passando dunque da un piano interpsichico ad un piano intrapsichico. I bambini diventano sempre più autonomi nella risoluzione dei problemi invece che farsi correggere dagli altri. Un esempio pratico che testimonia il passaggio dal livello interpsichico a quello intrapsichico è rappresentato dal linguaggio.
In primo luogo, Vygotskij considera il linguaggio come un fattore funzionale allo sviluppo cognitivo. Lo studioso, infatti, individua nel linguaggio lo strumento psicologico che libera l’individuo dall’esperienza percettiva immediata e gli consente di rappresentare il non visto, il passato e il futuro; il linguaggio si trova in relazione dinamica con il pensiero, nel senso che la comprensione e la produzione del ling. trasformano e influenzano i processi di pensiero.
Di conseguenza, pur avendo un’origine indipendente, linguaggio e pensiero si integrano in un processo di reciproco influenzamento divenendo strutturalmente interdipendenti.
Stando a questa ipotesi, il linguaggio non servirebbe soltanto a verbalizzare ciò che si pensa, ma eserciterebbe una funzione regolatrice sul funzionamento del pensiero e del suo sviluppo. Il linguaggio per Vygotskij assolve, in partenza, soltanto una funzione sociale in quanto viene utilizzato dal bambino per stabilire scambi comunicativi con la realtà esterna; l’interiorizzazione del linguaggio è un passaggio evolutivo cruciale, poiché consente la formazione delle funzioni psichiche superiori. Vygotskij infatti, sostiene che gli uomini creano se stessi attraverso l’attività, fanno uso quindi di strumenti psicologici e tecnici. Il gruppo dei coetanei e gli adulti favoriscono questo processo di autoformazione, aiutando i bambini ad imparare l’uso degli strumenti psicologici e tecnici della loro cultura.

Gli strumenti psicologici sono i sistemi linguistici, quelli di numerazione, la scrittura ecc.e vengono usati per controllare il pensiero o il comportamento. Tali strumenti trasformano le funzioni mentali elementari, capacità mentali che abbiamo in comune con gli altri animali, in funzioni mentali superiori, il pensiero logico e astratto, appunto attraverso il linguaggio.
Stando a questa prospettiva, le funzioni mentali superiori comparirebbero 2 volte nel corso dell’ontogenesi: prima come funzioni sociali e interpsicologiche che richiedono quindi il supporto degli altri individui; successivamente diventano individuali o intrapsicologiche grazie a un processo di interiorizzazione.

Ne consegue, quindi, che la direzione dello sviluppo procede dall’esterno verso l’interno.
Il linguaggio trasforma anche il modo in cui i bambini usano gli strumenti tecnici. Esso riorganizza e controlla il loro comportamento con questi oggetti, permettendo così nuove forme di soluzione dei problemi.

Vygotskij suggerì che inizialmente linguaggio e pensiero sono indipendenti, poi cominciano a fondersi intorno ai due anni di età. A tre anni circa, invece, il linguaggio interpersonale si scinde in un linguaggio comunicativo verso gli altri e in un linguaggio egocentrico , un dialogo udibile che il bambino porta avanti con se stesso.
In questo tipo di linguaggio il bambino parla da solo ad alta voce, ma usa il linguaggio per guidare il pensiero, risolvere un problema e pianificare le proprie azioni. Il linguaggio egocentrico è parlato perché i bambini non differenziano ancora il linguaggio rivolto verso gli altri e quello per sé. Tale linguaggio facilita l’apprendimento e non scompare mai completamente, gli adulti lo usano a volte per dirigere compiti difficili.

All’età di sette/otto anni, il linguaggio egocentrico diventa linguaggio interiore. I bambini possono pensare in silenzio, nonostante il linguaggio interiore sia più abbreviato e frammentato di quello parlato. Il linguaggio interiore può essere considerato come una forma di pensiero logico, analitico e sequenziale che si struttura utilizzando regole della lingua, le parole e i loro significati.

Il bambino crescendo affina le sue capacità di comunicazione verbale, interiorizza progressivamente il linguaggio fino a farne il mezzo d’espressione dei suoi pensieri personali. In una fase iniziale, l’utilizzo delle parole per esprimere il proprio pensiero può comportare anche l’uso di muscoli vocali, ma col tempo il bambino impara ad usare solo mentalmente le parole. Questa forma di pensiero,che utilizza simboli in origine acquisiti come parole, viene definito pensiero verbale.
Il linguaggio dà una fortissima spinta alla cognizione permettendo forme di pensiero che non sono possibili senza l’aiuto del linguaggio. Vygotskij ritiene che si attraversino tre stadi per lo sviluppo concettuale:

  • categorie non organizzate: ad esempio un raggruppamento fatto a caso
  • complessi
  • concetti che possono essere scientifici, ossia concetti definiti in maniera logica, che possono avere un contenuto sociale oltre che matematico e scientifico, e spontanei che invece si riferiscono a concetti concreti e intuitivi basati sull’esperienza quotidiana.

I concetti scientifici vengono trasmessi dal contesto scolastico e ad un certo punto si fondono con quelli intuitivi che provengono invece dal bambino.
Quando i concetti intuitivi vengono trasformati in concetti scientifici, vengono decontestualizzati, tolti dall’esperienza concreta del bambino e messi in un sistema formale privo di contesto. Essendo i contestualisti convinti che lo studio del bambino non possa essere avulso dallo studio del contesto in cui è inserito, hanno mostrato molto interesse, nell’andare a osservare tutto ciò che riguarda lo sviluppo del bambino, in termini di zona di sviluppo prossimale, per la ricerca cross-culturale. Vanno, infatti, ad osservare le stesse modalità di interazione tra adulto e bambino, in culture differenti.Tali ricerche mostrano che alcuni comportamenti e stadi dei bambini e le attività educative non sono universali, ma sono il prodotto di particolari circostanze socio-storico-culturali.

Fonte: (Riassunto da) “Psicologo verso la professione” , P.Moderato-F. Rovetto; ed. Mc Graw Hill

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