Enuresi ed Encopresi

Per enuresi intendiamo l’emissione attiva completa e incontrollata di urina dopo che sia stata raggiunta la maturità fisiologica in genere acquisita tra i 3 e i 4 anni.

Con encopresi invece è definitito il disturbo caratterizzato dall’emissione involontaria ed inconsapevole delle feci.

L’enuresi è quindi un’alterazione del controllo sfinterico urinario può essere primaria quando non si è verificata l’acquisizione della pulizia corporea oppure secondaria qualora si manifesti dopo, un periodo più o meno lungo, l’acquisizione del controllo fisiologico.

Il controllo sfinterico urinario è caratterizzato dal passaggio da un comportamento riflesso automatico ad un comportamento volontario controllato.

Nel neonato la minzione è dapprima successiva alla replezione (riempimento della vescica). Il controllo di questo sfintere viene acquisito successivamente in modo progressivo. L’acquisizione, quindi, di un vero controllo sfinterico non è possibile prima che la motricità vescicale sia giunta a maturazione fisiologica, anche se un condizionamento precoce può far credere ad un apparente pulizia.

Per poter diagnosticare l’enuresi si devono presentare i seguenti sintomi:

  • Ripetuta emissione di urina nel letto o nei vestiti;
  • Il comportamento è clinicamente significativo, come manifestato o da una frequenza di 2 volte alla settimana per almeno 3 mesi consecutivi o dalla presenza di disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, scolastica o di altre aree importanti del funzionamento;
  • L’età cronologica è di almeno 5 anni (per altri autori il riferimento è di 4 anni);
  • Il comportamento non è dovuto esclusivamente all’effetto fisiologico diretto di una sostanza o di una condizione medica generale (diabete, spina bifida, ecc.).

Generalmente l’enuresi è considerata un sintomo benigno con tendenza a scomparire durante la pubertà (periodo della vita compreso tra gli 11 e 15 anni). Le enuresi funzionali, pur avendo un’origine multifattoriale sono legate a fattori psicologici conflittuali.

Basti ricordare la frequente corrispondenza tra comparsa e scomparsa dell’enuresi e quelle di un episodio che segna la vita del bambino: separazione familiare, nascita di un fratellino, entrata nella scuola, un educatore aggressivo e violento, emozioni di qualsiasi natura.

L’incontinenza notturna è più frequente della diurna, e comporta assai spesso l’instaurazione di rituali d’ogni tipo in seno alla famiglia: i genitori si alzano parecchie volte per far urinare il bambino, cosa che serve a ben poco, bensì a rinforzare l’interesse familiare per il sintomo e a dar al bambino gratificazioni di ogni genere (disturbare i genitori, manipolazione, ecc.).

L’enuresi è associata alla fase paradossale del sonno, allo stadio corrispondente al sogno, oppure al passaggio dal sonno profondo a un sonno leggero. Per quanto riguarda il sesso, la maggioranza degli autori segnala un tasso di enuresi più alto nei maschi che nelle femmine (10% nei maschi contro 9% nelle femmine). Alcuni studi hanno messo in relazione l’enuresi e altri sintomi, quali le minzioni imperiose diurne, l’enconpresi, il sonno profondo, l’immaturità affettiva e i disturbi della parola.

I genitori sono sempre pronti a tutto: fino a minacciare e a fare paura.

E’ importante dare fiducia al bambino. Creare un’atmosfera distesa, libera (non permissiva) fiduciosa, sarà per lui la cosa più utile e più importante per iniziare un “cambiamento di rotta”. Ovviamente non deve sperimentare né vergogna, né paura. Al contrario è importante fargli intravedere i vantaggi della “guarigione” (i piccoli successi vanno rinforzati attraverso calorosi complimenti). Ridurre al minimo le circostanze che potrebbero favorire la sua enuresi.

Un’atmosfera familiare distesa, senza una costante apprensione per la sua enuresi, riduce tanto la tensione nervosa quanto i “benefici secondari”. Dovrebbe, inoltre, essere maggiormente coinvolto nella vita familiare e non tenerlo in disparte. La tolleranza e la malleabilità fanno parte integrante del processo di guarigione. Ogni bambino ha diritto alla propria libertà, a qualche insuccesso scolastico, a qualche incapacità o ricaduta d’efficienza.

Per nessuna ragione non deve essere considerata la guarigione dell’enuresi come una fine assoluta dei problemi.

L’enuresi è soltanto una spia dei problemi affettivi del bambino: sono quelli che bisogna innanzitutto risolvere. L’enuresi è spesso legata a sentimenti ed emozioni che, di giorno, non trovano la via per esprimersi. Anche se il disturbo comune a tutte le enuresi è il difetto del controllo della minzione, questo non vuol dire che l’eziopatogenesi sia sempre la stessa. Quando si formula un programma terapeutico, quindi, non si deve agire unicamente sul sintomo, ma su una condotta di cui bisogna delucidare il contesto psicofisico. Di fronte ai disordini psicologici primari o secondari, è indispensabile prendere un certo atteggiamento psicologico sia di fronte al bambino che nei confronti dei genitori.

Dobbiamo sostenere il bambino, rilassarlo e decolpevolizzarlo, farlo cooperare alle attività terapeutiche, metterlo al corrente, come fanno certi autori, del meccanismo funzionale della minzione.

genitori hanno ugualmente bisogno di essere sostenuti (… non colpevolizzati) per meglio sopportare questa affezione spesso considerata come vergognosa, essere informati della condotta più utile e vantaggiosa a favorire l’educazione sfinterica, ed essere messi in guardia contro l’utilizzazione del sintomo a fini aggressivi o di una sorta tutela spesso cercati e subiti dal bambino. Così rischiano di trasformare il sintomo – reazione in una condotta in cui il bambino trova “benefici secondari”. In certi casi, questo atteggiamento di sostegno non è sufficiente e deve essere presa in considerazione una psicoterapia, le cui linee generali devono essere:

  • riduzione del problema conflittuale,
  • evidenziazione dei benefici secondari
  • offerta di compensazioni nell’ordine affettivo.

Nel caso di una personalità in evoluzione, l’enuresi è nello stesso tempo agita e subita, beneficio e danno. E’ in questo stato di ambivalenza che la terapia può, sia portando nuovi benefici, sia creando nuove motivazioni, sia mettendo in attività sistemi organici in stato di passività, aiutare il bambino a trovare una via d’uscita e permettergli, da una parte, di offrirgli la guarigione, e dall’altra, di uscire dalla malattia che, nella nostra cultura, comporta per lui in fin dei conti più inconvenienti che vantaggi.