Una particolareTeoria Psicosociale dello Sviluppo che comprende l’intero ciclo della vita e non si arresta come in genere avviene, alle soglie dell’età adulta, è la teoria psicosociale dello sviluppo di Erikson.
Sebbene di derivazione psicoanalitica la teoria erksoniana supera il concetto prevalentemente biologico della psicoanalisi freudiana dando molta importanza alla dimensione sociale nello sviluppo della personalità.
Erikson riprendendo in esame lo sviluppo delle zone lipidiche descritte da Freud cercò di comprendere il modo con cui ciascuna delle zone successivamente funziona.

Per Erikson (ad esempio) la zona orale non è importante perché è concentrata sulla bocca quanto piuttosto perché esprime un modo universale di funzionamento che è tipico di una certa gamma di età, il modo incorporativo, e che è una modalità di rapporto con il reale che si manifesta attraverso tutti gli organi sensori.

Queste dinamiche descritte da Erikson per tutte le fasi dello sviluppo, non sono pensate in astratto, come situazioni che cadono nel vuoto ma sono riferite ad un ben definito ambiente familiare e socio-culturale.
Centrale nella teoria di Erikson è l’idea che ogni cultura affronta particolari conflitti psicosociali, e di conseguenza, promuove quei particolari percorsi di sviluppo che hanno buone probabilità di risolvere quelle determinate difficoltà. 

I problemi sorgono quando i metodi educativi tradizionali di una società non preparano più i suoi figli a fare fronte alle richieste che dovranno affrontare da adulti. Nessuna cultura prevede così bene il futuro da preparare ciascuna delle sue componenti a viverlo senza problemi. Ogni società fornisce una migliore preparazione per alcune crisi piuttosto che per altre.Sostanzialmente Erikson suddivide lo sviluppo in otto fasi, ciascuna caratterizzata da un particolare conflitto, o crisi, che deve essere affrontato e risolto.

Le prime quattro fasi comprendono l’infanzia e la fanciullezza, la quinta copre l’adolescenza, e le ultime tre l’età adulta, inclusa la vecchiaia. Queste fasi non seguono uno schema periodico fisso, nel senso che ogni soggetto ha i suoi ritmi evolutivi, e inoltre le fasi non vengono mai abbandonate, ma sono a poco a poco tutte integrate in ciò che Erikson definisce come “un insieme funzionante”. Risolvere con successo uno stadio costituisce un requisito necessario perché anche lo stadio successivo possa avere soluzione positiva.
La persona che non riesce a risolvere in modo positivo la crisi di un dato stadio, se è circondata da un ambiente sociale adeguato, può sovvertire l’esito degli stadi precedenti, benché ciò avvenga con notevole difficoltà.
Secondo Erikson il tema principale della vita è la ricerca dell’identità, l’identità è la comprensione e l’accettazione sia del sé che della propria società. Essa subisce una trasformazione da uno stadio all’altro.
Erikson usò tre metodi per lo studio dello sviluppo:

osservazione diretta del bambino: il contatto con Anna Freud, che fu la sua analista, fece entrare Erikson in contatto con la terapia dei bambini, da qui l’importanza di studiare l’uomo in azione.

  1. confronti fra culture da diverse
  1. psicostorie: sono analisi dello sviluppo psicosociale di alcune ben note personalità, basate sui loro stessi scritti e su conversazioni e comportamenti riferiti ad altri.

La prima fase, definita da Erikson orale-sensoriale (dalla nascita a 1 anno circa)
è incentrata intorno all’acquisizione della fiducia di base e della sfiducia di base, entrambe necessarie al fine dello sviluppo umano.Grazie alla continuità delle esperienze sensoriali di appagamento e rilassamento, di cui la madre si fa garante, il bambino acquisisce una fiducia fondamentale, che gli consente di tollerare la provvisoria assenza della figura materne e le inevitabili frustrazioni. Fiducia e sfiducia devono essere modulate dalla speranza (anch’essa appartenente alla precoce relazione con la madre). Grazie a un’equilibrata integrazione di fiducia, sfiducia e speranza, il bambino può imparare a tollerare la frustrazione e le delusioni, e acquisire così la disposizione interna a ridefinire continuamente i propri progetti e a proiettarsi nel futuro.
La seconda fase ( dai 2 a 3 anni), che corrisponde nello sviluppo psicosessuale a quella anale-muscolare, è segnata dall’esperienza del controllo e della disciplina. In questa fase i bambini imparano ad essere o autosufficienti in molte attività, tra cui controllare gli sfinteri, nutrirsi, camminare, esplorare e parlare, o a dubitare delle proprie capacità. Strettamente correlato all’esperienza del controllo degli impulsi è il sentimento della vergogna. (Se gli adulti sono eccessivamente severi e punitivi, ogni cedimento della volontà e del controllo susciterà nel bambino un’eccessiva mortificazione del sé). In questo stesso periodo il bambino integra la virtù della volontà, e comincia ad assumere una coscienza etica, che si esprime nel giudizio su ciò che è bene e ciò che è male. La modalità psicosociale è quella di trattenere rispetto a lasciarsi andare.
Nella terza fase psicosociale (dai 4 e 5 anni) il bambino consolida il senso di autocontrollo di volontà e di autonomia della fase precedente in un atteggiamento sempre più integrato di padronanza delle situazioni, responsabilità e iniziativa autonoma. La virtù che emerge durante questa fase è la fermezza di propositi, come capacità di tener fede ad un progetto e portare a termine un compito. Tipica di questa fase è la voglia dei bambini di intraprendere molte attività “da grandi”, travalicando a volte i limiti imposti dai genitori, e sentendosene poi in colpa.
La modalità psicosociale di base è il fare, cioè intromettersi, prendere l’iniziativa, prefiggersi e portare avanti degli scopi.
La quarta fase (dai 6 anni alla pubertà) vede emergere nel bambino un senso di competenza e di efficacia. In questo periodo le energie del bambino, incentrate fino ad allora principalmente sul gioco, si indirizzano verso compiti più maturi come l’impegno scolastico, lo sport, attività artistiche. E’ importante che il ragazzo applichi la propria intelligenza e canalizzi l’energia in compiti di difficoltà e di responsabilità adeguate, che siano sostenuti da una corrispondente motivazione interna, altrimenti gli sforzi non porteranno mai ad un’autentica soddisfazione. Si tratta di un momento molto delicato, in cui il bambino può acquisire una certa sicurezza e padronanza delle proprie capacità, premessa fondamentale per sviluppare in futuro una riconosciuta competenza lavorativa, oppure può sentirsi inferiore o incapace di fare qualsiasi cosa. Le esperienze positive danno al bambino un senso di industriosità, un sentimento di competenza e di padroneggiamento, al contrario il fallimento porta con sé un senso di inadeguatezza e di inferiorità. È un periodo più calmo, un tempo di latenza psicosessuale.
Con la quinta fase si entra nel periodo adolescenziale con le sue tipiche problematiche di identità. A causa della difficile transizione dall’infanzia all’età adulta, in cui l’adolescente sente, da un lato, una certa riluttanza ad abbandonare le sicurezze e le garanzie del mondo infantile, dall’altro, un’irresistibile richiamo verso il mondo degli adulti, che tuttavia avverte come complesso, sconosciuto e inquietante, egli è portato a soffrire della sua stessa ambivalenza e della conseguente dispersione di ruoli o confusione di identità.
Rapidi cambiamenti psicologici producono un “nuovo” corpo che ha bisogni sessuali non familiari. Questi cambiamenti, accanto alla pressione sociale, forzano i giovani apprendere in considerazione una varietà di ruoli.
Erikson parla di crisi d’identità nel definire il tentativo di superamento della confusione e dell’ambivalenza per insediarsi in un’identità più stabile, coerente e separata dagli altri.
Un grosso ostacolo psicologico nella costruzione dell’identità è la percezione del negativo in se stessi come qualcosa per cui sentirsi indegni e inadeguati rispetto al mondo. Erikson chiama questa condizione psicologica identità negativa, e uno dei modi di difesa più primitivi da questo sentimento profondo d’ inferiorità e indegnità è la proiezione del negativo sugli altri da cui originano atteggiamenti pregiudiziali, la discriminazione razziale, il rifiuto del diverso e persino il crimine. In questa fase si integra il senso della fedeltà ai propri valori e alle proprie ideologie, ovvero un atteggiamento di coerenza nonostante le inevitabili contraddizioni a cui ci espongono pulsioni contrastanti e tendenze opposte e conflittuali. Su questo sentimento di fedeltà e di coerenza poggia in maniera stabile l’identità, che si può definire come un insieme coerente nel tempo di atteggiamenti, valori e caratteristiche. L’adesione ad una qualche forma d’ ideologia caratterizza questa fase, in cui è fondamentale, per l’acquisizione dell’identità, il sentimento di appartenenza a un gruppo che confermi l’adeguatezza dei propri valori e del proprio modo di essere. La modalità psicosociale di questo stadio è rappresentata dall’essere se stessi o meno.
Nella sesta fase, che corrisponde all’inizio dell’età adulta, la ricerca di relazione e d’ amore acquista una nuova maturità. Infatti non è più un bisogno indifferenziato, come nell’infanzia e l’adolescenza, in cui i rapporti hanno principalmente la funzione di consolidare l’identità, ma è la scelta di legare la propria individualità a quella di un altro essere umano. Tipica di questa fase è la tendenza affiliativi ,cioè la compartecipazione nel lavoro, nell’amicizia e nell’amore, il cui risvolto negativo è la creazione di gruppi esclusivi, elitari, che esprimono una forma di narcisismo comunitario. Se i tentativi verso l’intimità compiuti in gioventù falliscono, la persona si ritira in isolamento. In questo caso le relazioni sociali sono stereotipate, fredde e vuote.
La settima fase è il periodo della generatività, cioè di una capacità produttiva e creativa nel campo del lavoro, dell’impegno sociale, delle idee e della famiglia anche attraverso la nascita dei figli. Quando la possibilità di generare non trova spazio ed espressione in nessuno di questi ambiti, la personalità regredisce, e sopravviene un senso di vuoto, d’ impoverimento e di ristagno.
L’ultima fase è quella che rende veramente originale il contributo di Erikson, che protrae l’evoluzione della personalità fino al momento della vecchiaia, in cui devono essere ancora integrate delle peculiari dimensioni psicologiche, come l’integrità e la disperazione. Gli anziani cercano infatti di dare un senso alla propria esistenza, e la crisi riguarda il fatto che o riescono a vedere la vita come un tutto dotato di significato, o si disperano per le mete mai raggiunte e per le domande rimaste senza risposta.
La presenza, o l’assenza di crisi o di impegno, nei vari stadi, definisce 4 condizioni di identità:

  • identità diffusa: la persona non ha fatto esperienza né di una crisi di identità né di un impegno, è facilmente influenzabile dagli altri, cambia spesso le proprie opinioni.
  • sotto ipoteca: si è assunta degli impegni ma non ha esperito una crisi di identità. Accetta senza obiettare, opinioni, atteggiamenti e un’occupazione basati sul punto di vista altrui.
  • in moratoria: una persona che si trova in un serio stato di crisi d’identità, e non è ancora capace di assumere degli impegni.
  • persona che ha raggiunto un’identità: è passata con successo attraverso una crisi di identità e ha sostenuto un certo numero di impegni personali.

La maggior parte della teoria di  Erikson trae origine dalle sue esperienze personali, dal ricordo dei suoi pazienti in terapia, e dalle intuizioni offerte dalla letteratura classica.
Una particolarità della metodologia di Erikson sono gli studi psicostorici, che rintracciano nella biografia di noti personaggi esempi e conferme della teoria psicosociale della personalità. E’ da notare che Erikson scelse di esemplificare lo schema dello sviluppo psicosociale con un’analisi attenta delle vite di Lutero e Gandhi, dei quali evidentemente apprezzava l’anticonformismo e la capacità di rinnovamento radicale.
La metodologia che egli adottò per ricostruire il passato dei numerosi personaggi storici, era la stessa utilizzata in psicoanalisi clinica per ricostruire il passato dei pazienti. Ma invece di cercare di comprendere il motivo per cui una personalità si è disgregata nella sofferenza, Erikson cerca di comprendere come i conflitti i complessi e le crisi di un individuo possano tradursi nel corso dell’esistenza in un’azione efficace, in grado di costituire uno stimolo per tutti. Infatti con gli studi psicostorici intende mostrare in che modo gli eventi che appartengono allo sviluppo della storia individuale riescano a cambiare il corso della storia collettiva.
Gli sviluppi applicativi della teoria di Erikson riguardano sostanzialmente un contesto di lavoro clinico, e più specificamente psicoterapeutico. Molti casi clinici infatti, si possono leggere in chiave eriksoniana: come Freud, Erikson credeva che problemi insorti nella prima infanzia possano durare per tutta la vita. Ad esempio, l’adulto sospettoso e pessimista, o che dubita continuamente delle proprie capacità, è probabilmente stato un bambino che non ha sviluppato sufficiente fiducia e che non è riuscito a ottenere sufficiente autonomia. Ancora, secondo Erikson risalgono al periodo della seconda fase dello sviluppo, in cui il bambino affronta il conflitto tra autonomia e vergogna e dubbio, certi atteggiamenti distruttivi e paranoici che si possono riscontrare nell’adulto che definisce l’altro, in quanto diverso, come negativo. In oltre, la degenerazione a cui può portare questa fase è detta da Erikson “legalismo”: la soddisfazione nel punire piuttosto che nel comprendere e nel compatire
Erikson ha elaborato un meccanismo più specifico di sviluppo che è il gioco, termine che sta ad indicare l’uso dell’immaginazione per provare modalità di padroneggiamento e di adattamento al mondo, per esprimere emozioni, per ricercare situazioni passate o immaginarne future e per sviluppare nuovi modelli di esistenza. Il gioco, quindi, non è limitato al bambino, ma è presente per esempio anche nell’adolescente, che con la fantasia si avvia a varie occupazioni.
Il gioco è spesso ritualizzato e diventa per qualche verso formale, un modo culturalmente accettato di interazione con gli altri.

Fonte: (Riassunto da) “Psicologo verso la professione” , P.Moderato-F. Rovetto; ed. Mc Graw Hill

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