Il processo di socializzazione inizia fin dalla primissima infanzia, dopo la nascita, e progredisce durante tutta l’infanzia e l’adolescenza tramite i processi di apprendimento che conducono l’individuo ad assumere modelli di comportamento simili a quelli degli individui del suo gruppo di appartenenza.
Nell’ormai classica definizione di Brim la socializzazione è “quel processo mediante il quale gli individui acquistano le conoscenze, le abilità, i sentimenti (dico io attenzione, legame con sviluppo affettività come effetto, come sottocategoria della socializzazione) ed i comportamenti che li mettono in grado di partecipare, quali membri più o meno efficienti, alla vita sociale”. E’ quindi un processo complesso, influenzato da molteplici fattori, tra i quali le modalità d’interazione del bambino con i genitori all’interno della famiglia, ma anche dalle influenze esterne esercitate dal rapporto con i coetanei e dalla scuola.
La teoria dell’”apprendimento sociale” elaborata all’insegna del paradigma skinneriano S-R, considera il neonato come dotato di bisogni fisiologici fondamentali  che vengono soddisfatti dall’adulto che si prende cura di lui. La madre, che generalmente svolge tale funzione, diverrebbe un rinforzo secondario, acquistando a sua volta il ruolo di ricompensa. In seguito la frustrazione che deriverà dalla diminuzione dell’interazione dell’adulto con il bambino, porterà quest’ultimo a riprodurre i comportamenti materni che sono stati maggiormente gratificanti, imitandoli, attraverso l’identificazione e l’imitazione si realizza il progressivo inserimento del piccolo nel mondo sociale.
Secondo l’approccio psicobiologico, invece, l’organizzaizone dello sviluppo è quasi esclusivamente mediata da fattori biologici innati. Bambino nasce con una serie limitata di modelli di azione predeterminata (MAP), che con l’apprendimento si organizzeranno in sequenze comportamentali più complesse (es. map rotazione capo+map suzione.
La teoria dell’attaccamento di Bowlby sostiene  che la ricerca della vicinanza con una essere della propria specie , è una predisposizione innata da cui dipende lo sviluppo sociale.
Comportamenti di attaccamento sono di due tipi, comportamenti di segnalazione (pianto, sorriso, vocalizzazioni) e compomportamenti di accostamento (aggrapparsi, seguire).
Le relazioni sociali si sviluppano sulla base prime esperienze affettive con la figura accadimento, è fondamentale la  rispondenza emotiva tra madre a bisogno primario di attaccamento.
Si delineano precocemente stili relazionali caratterizzati da minore o maggiore appagamento affettivo, si formeranno “modelli operativi interni” di sè stesso e delle figure di attaccamento,che  indirizzeranno interpretazione segnali esterni e guideranno aspettative e comportamento in situazioni nuove e con nuove figure affettive.
Ainsworth e coll. contribuisce alla teoria di Bowlby analizzando il comportamento esplorativo del bambino attraverso la  Strange Situation: il fatto che il bambino eplori con tranquillità e che “usi” la madre come base per l’esplorazione viene assunto come un criterio di attaccamento sicuro. L’identificazione rappresenta un aspetto fondamentale del processo di socializzazione e si attua quando il bambino dopo aver formato un legame profondo con determinate persone, desidera attenersi alle loro modalità di comportamento ed evitare la loro disapprovazione per una sua eventuale condotta impropria.
Il compito della socializzazione risiede all’inizio nella famiglia: l’influenza dei familiari si manifesta nella tendenza del bambino ad imitare i loro modi di comportarsi, pensare, sentire ed agire  come se le caratteristiche di un’altra persona fossero le proprie si chiama appunto identificazione. Bandura e Walters ritengono che i termini identificazione e imitazione si riferiscono allo stesso insieme di fenomeni per cui i modelli del comportamento sociale, sono appresi tramite l’ apprendimento osservativo.
Nel modello di Bandura, l’apprendimento dei comportamenti socializzati avverrebbe principalmente dall’osservazione dei genitori e dall’imitazione dei modelli da quest’ultimi proposti.
In generale bambino per evitare disapprovazione figure significative si comporta come loro, finendo per incorporare modalità di comportamento.
L’identificazione (con il genitore dello stesso sesso)è essenziale per l’apprendimento dell’identità di genere (significato riferito al corpo del proprio Io, come maschio o come femmina) e per lo sviluppo della coscienza morale.
Allo stesso tempo, il confronto con i coetanei permette di potenziare le abilità cognitive (per imitazione reciproca o per cooperazione), di avviare un processo interattivo scambievole e modulato da regole (tramite il gioco), di esprimere l’affettività (mediante la ricerca e il mantenimento di simpatie o amicizie privilegiate, presenti già dalle età più precoci).
In particolare, in relazione alle relazioni con i pari, è possibile rintracciare una sequenza evolutiva precisa, per cui, mentre ad un anno di età i bambini si limitano a scambi di sorrisi o vocalizzi, a due anni avviano già le interazioni strutturate, per giungere nel terzo anno di età a scambi finalizzati e cooperativi.
Un interessante filone di ricerca si è focalizzato allo studio dei legami di amicizia tra bambini; secondo alcuni autori si può iniziare a parlare dell’esistenza di legami di “amicizia” già nei bambini di età compresa tra i 10 ed i 20 mesi; secondo altri non è possibile farlo almeno fini ad un’età di 3 anni e mezzo.
I legami di amicizia, definibili come una preferenza reciproca, una capacità di interagire in modo appropriato, un piacere reciproco nell’interazione, sono stati sperimentalmente studiati nei bambini con vari metodi, tra i quali l’analisi del disegno.
Nell’adolescenza, un’importante funzione del gruppo di coetanei è quella di convalidare l’identità personale dell’adolescente, nonché di essere uno schema preciso di riferimento nella fase di transizione verso ruoli adulti.
In questo senso, la scuola materna rappresenta il luogo privilegiato dove le relazioni tra coetanei possono realizzarsi; successivamente, il sistema scolastico vero e proprio permetterà al bambino di misurarsi con regole molto più definite, di imparare ad adeguarsi ad un sistema assai diverso dalla famiglia e più simile alla società degli adulti, a valutare e rispettare l’autorità ed i valori propri dell’insegnante.
Sebbene ciascuno dei tre ambiti fornisca contributi specifici, allo stesso tempo si può notare come essi siano tra loro fortemente connessi.
Smorti, ad esempio, evidenzia come il fenomeno della fobia della scuola, sia intimamente legato alle relazioni instaurate dal bambino con i genitori, ed in particolar modo con il padre; quest’ultimo, essendo il primo “estraneo” rispetto alla diade madre-bambino, è anche il primo rappresentante del mondo esterno e colui che permette al figlio di progredire dall’interno della famiglia all’esterno dei rapporti con coetanei ed adulti; in questo senso, il mancato rapporto con il padre , come figura diversa dalla madre, mette il bambino in una situazione di ansia di fronte a tutti i personaggi estranei che incontra fuori dalla famiglia: la paura della scuola diverrebbe così funzionale all’evitamento del mondo esterno.
L’acquisizione dell’identità di genere si realizza per la maggior parte dei bambini in un lasso di tempo compreso tra il primo ed il terzo anno di vita, ovvero in un periodo in cui la discriminazione tra i concetti di maschio e di femmina si rende al bambino sempre più chiara.
Sembra che l’identità di genere si stabilisca dapprima sulla base di criteri ed indizi diversi da quello delle differenze genitale, e che solo in un secondo momento queste ultime vengano riconosciute come segni di tale identità.
La tipizzazione sessuale del bambino è infatti determinata dall’influenza di molteplici variabili, tra le quali l’assegnazione di un identità di genere al bambino da parte dell’ambiente circostante (vedi studi su pseudoermafroditi), il peso degli stereotipi culturali, il particolare periodo storico, il contesto sociale di riferimento, la presenza adeguata di entrambi i genitori e, nello specifico, del padre. Il ruolo del padre sembrerebbe fondamentale nell’acquisizione dell’identità di genere. Uno dei primi autori che si è dimostrato sensibile a suddetta questione è stato sicuramente Freud con il suo modello psicoanalitico.
Secondo l’autore, il padre rappresenta una figura fondamentale nello sviluppo sessuale dei figli. L’angoscia di castrazione del bambino e l’invidia del pene dalla bambina verrebbero risolti nel primo caso con l’identificazione con la figura paterna, nel secondo la bambina desidera svolgere suo ruolo ricettivo.
La rilevanza propria della figura paterna emerge anche dall’analisi di alcune particolari condizioni, quali l’insufficienza sessuale e l’omosessualità maschile, le quali sembrerebbero associate ad una carenza di legami affettivi tra i soggetti ed i rispettivi padri.
Master e Johnson (1970) collegano molteplici di casi di impotenza secondaria alla presenza di una madre iperdominante e di un padre periferico all’interno della vita familiare.
La presenza paterna è fondamentale anche per la tipizzazione sessuale femminile, e si sostanzia  principalmente nella capacità del genitore di differenziare il proprio ruolo maschile da quello femminile della figlia e nell’incoraggiarla verso comportamenti adeguati al suo sesso.
Il disegno si è rivelato un ottimo strumento di indagine con i bambini, anche molto piccoli, in quanto è meno soggetto a regole (è quindi meno difficile) rispetto alla verbalizzazione, non prevede un’interazione continua con lo sperimentatore, è meno soggetto alla possibilità di “censure”.
Non è infatti un caso che tra i test atti a raccogliere informazioni sulle relazioni tra i bambini ed il loro ambiente sociale, spicchi il test del disegno della famiglia di L. Corman ( in cui vengono valutati i membri presenti, la loro collocazione spaziale in relazione al soggetto, il loro ordine di comparsa, le loro dimensioni e caratteristiche, ecc., ipotizzando che le caratteristiche grafiche e contenutistiche siano una proiezione dei vissuti del bambino )

  • Test del disegno della figura umana di Machover (autoimmagine personale)
  • Test del disegno dell’albero di Koch
  • C.A.T. (Children Apperception Test) di Bellak, bambini 3-10 anni. Scene di animali (maggiore facilità immedesimazione), situazioni scelte in base a conflitti base teoria psicosessuale Freud, racconta una storia.

Dal momento in cui si è riconosciuta l’esistenza di una vita psichica al neonato, sono state messe a punto delle tecniche atte a indagarla e valutarla con precisione:

  • Tecniche di valutazione clinica (analisi del colorito, tono muscolare, respirazione, riflessi, battito cardiaco del neonato);
  • Valutazione neurologica (l’esame di Prechtl: si indagano le abitudini alimentari, il sonno, il pianto e poi si compie un’osservazione del neonato in varie posture);
  • Scale neurocomportamentali (scala di Brazelton: valutazione delle capacità interattive, sociali, di interazione con l’adulto).

I dati raccolti sui neonati e sui lattanti, soprattutto grazie agli studi osservativi e alle ricerche sul campo, hanno evidenziato come le competenze sociali dei bambini siano molto precoci e come essi, tramite il pianto , il sorriso, la ricerca di contatto, siano in grado di avviare da subito le interazioni e le richieste nei confronti degli adulti che si prendono cura di loro.  Tuttavia, fino all’età di tre mesi (fase del pre-attaccamento), il bambino non manifesta reazioni diverse nei confronti delle diverse persone; è solo tra i tre ed i sette mesi che inizia ad esprimere la predilezione verso la madre, una predilezione che verrà consolidata nei mesi immediatamente successivi, manifestandosi anche tramite la tendenza ad evitare gli estranei, soprattutto in assenza della madre.
Dal momento in cui si è riconosciuta l’esistenza di una vita psichica al neonato, sono state messe a punto delle tecniche atte a indagarla e valutarla con precisione:

  • tecniche di valutazione clinica (analisi del colorito, tono muscolare, respirazione, riflessi, battito cardiaco del neonato);
  • valutazione neurologica (l’esame di Prechtl: si indagano le abitudini alimentari, il sonno, il pianto e poi si compie un’osservazione del neonato in varie posture);
  • scale neurocomportamentali (scala di Brazelton: valutazione delle capacità interattive, sociali, di interazione con l’adulto).

Lo studio del neonato ha permesso in oltre di notare come esso, addirittura già durante il periodo della gestazione, manifesti un suo “temperamento” ben definito: in uno studio di Thomas, un gruppo di bambini è stato seguito dalla nascita fino all’età di 9 anni, riscontrando che alcune caratteristiche evidenziate appena dopo la nascita erano riscontrabili anche successivamente.
Gli stili comportamentali che costituiscono il temperamento possono essere raggruppati in : livello di attività, regolarità delle funzioni biologiche, reazione agli stimoli nuovi, adattabilità, soglia sensoriale, umore prevalente, distraibilità.
La valutazione di questi diversi stili viene effettuata tramite questionari somministrati ai genitori, che indagano  ciascuna delle aree elencate.

Fonte: (Riassunto da) “Psicologo verso la professione” , P.Moderato-F. Rovetto; ed. Mc Graw Hill

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