Fra i primi psicologi sociali ad occuparsi della percezione sociale vi fu Salomon Asch. Egli affermava che la percezione sociale totale di un’altra persona non è semplicemente la sommatoria dei singoli concetti che usiamo nel definire quella persona, ma è individuabile una qualche organizzazione di tali concetti. Così la definizione dell’altro è anche influenzata dal contesto in cui quella persona è immersa, ovvero un comportamento viene definito differentemente a seconda del contesto in cui si svolge. Nell’affrontare questo problema Asch sottopose a due gruppi di studenti universitari una lista di sette aggettivi riferibili ad una persona di cui bisognava individuarne la personalità, la lista di aggettivi era identica fra loro tranne che per un aggettivo quale caldo e freddo. Fu interessante notare come l’introduzione di tale differenza influenzò la valutazione della personalità di questa ipotetica persona agendo come tratto centrale. Asch chiedendosi come ciò poteva avvenire, giunse a ritenere che l’apprendimento di tale modo di organizzare i tratti derivasse dall’osservazione del mondo esterno, riteneva che fosse il risultato di un processo definito dal basso verso l’alto, dove il basso è l’ambiente i cui impulsi si dirigono verso il centro cognitivo.

È un apprendimento che Asch definì apprendimento per associazioni. Per cui la percezione totale dell’altro avverrebbe attraverso un’organizzazione di concetti fra loro associati, la cui associazione è quella appresa dall’osservazione della maggior frequenza di combinazione di un tratto con un altro. Qualunque tratto può svolgere un ruolo centrale, ed il fatto di essere centrale o meno dipende dalla frequenza con cui ciascun tratto si associa alla dimensione presa in considerazione. La tendenza di ogni individuo di raggruppare i tratti in modo particolare si definisce teoria implicita della personalità e rispecchia il modo in cui ognuno di noi si crea delle convinzioni sulla personalità dell’altro.

Nello studio dell’organizzazione della percezione sociale, contro i teorici della teoria” dal basso verso l’alto” che enfatizza, nella percezione, il ruolo dell’ambiente, vi sono i teorici della teoria “dall’alto verso il basso” che sottolineano il ruolo dei processi cognitivi nell’organizzazione del mondo. In questo approccio teorico è importante il concetto di “schema”, che rappresenta il modo in cui la conoscenza di una persona, di un oggetto o di un insieme di dati viene organizzata cognitivamente. Nello schema sono inclusi sia gli attributi che le relazioni tra questi.
Attraverso lo schema selezioniamo e classifichiamo tutte le informazioni disponibili ed esso ha la funzione di autoperpetuarsi, ossia organizza la comprensione del mondo per autosostenersi.
Nel rapporto con gli altri, pur se di essi conosciamo pochi dati, utilizziamo schemi cognitivi preesistenti, al fine di avere dell’altro una valutazione più ampia.
Esiste anche l’effetto alone che ci rimanda allo schema della persona buona se di esso abbiamo una minima informazione positiva e viceversa rievochiamo lo schema della persona cattiva se di esso abbiamo una minima informazione negativa. Inoltre quando si fanno delle ipotesi sulla personalità di una persona, si selezionano le informazioni in modo da confermare i propri schemi, tale tendenza è detta verifica delle ipotesi di conferma. Tra gli effetti più interessanti che questo approccio teorico ha evidenziato vi sono l’effetto di primacy e l’effetto di recency., ovvero data una serie di informazioni, se la prima impressione che si forma è fondata sulle informazioni date per prima, avremo l’effetto di primacy, se prevalgono le informazioni più recenti avremo l’effetto di recency. In genere l’effetto di primacy viene privilegiato, a meno che non si adottino delle precauzioni come far riformulare l’impressione ogni qual volta si presentano dati nuovi o informare sui pericoli della formazione di impressioni premature. Naturalmente l’effetto di primacy valorizza lo schema centrato sul sé, per cui in un rapporto si formulerà uno schema sull’altro per poi cercare informazioni che lo confermino. In ultimo vi è l’effetto di innescamento per cui in una particolare situazione, utilizziamo uno schema invece che un altro, a seconda di quale viene innescato da alcuni fattori ambientali; e lo utilizziamo anche se si rivela inadatto alla situazione.
La gran parte degli psicologi sono convinti che la formazione dei concetti di sé avvenga in età precoce. Sono concordi su questo punto autori come Freud, Horney e Sullivan che, in particolare, afferma che un bambino formerebbe un senso di sé come “io buono” o di “io cattivo”, a seconda che riceva o meno dalla madre latte e coccole. È, comunque, difficile confermare il punto di vista di tali psicologi, seppur la tecnica dello specchio ci può dare qualche informazione in più su come i bambini riconoscano se stessi. Invero sono in molti convinti che tali concetti non siano immutati, ma, che essendo legati ai rapporti che si hanno con gli altri, cambiando questi ultimi, cambino di conseguenza anche loro. Già Mead sottolineava come il concetto di sé di chiunque sia il riflesso delle opinioni che altri significativi hanno di noi, ovvero gli altri significativi sarebbero uno specchio in cui trovare una nostra definizione. Ma le persone possono selettivamente cercare questo specchio e, quindi, screditare chi ci valuta sfavorevolmente, invero, riporre fiducia verso chi ci valuta favorevolmente, con un rinforzo della nostra autostima. A volte non c’è bisogno di ricevere apprezzamenti direttamente, ma godiamo indirettamente delle lodi fatte a nostri amici o parenti, è questa l’esperienza detta del bearsi per gloria riflessa.
Sin dalla più tenera età, attraverso un continuo maturarsi ed evolversi, creiamo concetti di noi stessi, che si organizzano a formare uno schema unitario del nostro sé, inoltre, il sé autoriflettente, il confronto sociale, l’assunzione di ruolo e le differenze sociali, sono quattro fattori che sviluppano e mutano tali concetti.
Molti psicologi sociali hanno evidenziato come vengono adottate diverse strategie cognitive che ci permettono di mantenere unità e stabilità alla nostra immagine del sé. Si adotterebbero processi di autoconservazione più o meno consapevoli. Ci sarebbero tre strategie di autoconferma quali: l’attenzione orientata, la interpretazione orientata, l’affiliazione e la presentazione. Per quanto riguarda l’attenzione orientata, siamo particolarmente sensibili a determinate informazioni , atte a confermare le nostre ipotesi. Così se desideriamo risultare simpatici agli altri, saremmo, portati ad osservare , per esempio, se gli altri ci sorridono o quanto si trattengono a parlare con noi. Per quanto riguarda l’interpretazione orientata, se i giudizi degli altri non ci piacciono tendiamo a interpretarli sulla base, per esempio, del fatto che sono male informati o che volevano ottenere qualcosa. L’affiliazione si verifica nella scelta appropriata delle nostre amicizie, in modo da ottenere i giudizi che desideravamo. Ed è importante l’autopresentazione, per cui ci presentiamo agli altri in modo da ottenere il, giudizio su di noi che speravamo, e se gli altri non dovessero accettare la nostra identità, gli diamo una quantità di informazioni personali in modo da fargli cambiare giudizio.
Vi sono, come accennavo prima, anche processi di autoconservazione operanti a livello non consapevole. Questi processi operano in modo tale che l’informazione viene elaborata più rapidamente se è conforme allo schema di noi stessi e viene anche meglio ricordata.
L’utilizzazione di tutte queste strategie di autoconservazione, confermano ciò che gli studiosi affermano e cioè che l’immagine di sé tende ad autosostenersi, a perpetuarsi nel tempo.
Gestirsi socialmente, significa non solo conoscersi ma sapersi porre rispetto agli altri in modo da farsi conoscere Importante è il modo in cui approcciamo agli altri, ovvero l’auto presentazione. Nella gestione sociale del sé molti studiosi ritengono sia importante saper indurre gli altri ad aderire a modelli convenzionali ritenuti vincenti, quindi, ad aderire a sequenze comportamentali riferibili a copioni. Nella vita di tutti giorni trovandoci nelle più svariate circostanze e di fronte a molteplici persone, siamo indotti ad adottare copioni via, via differenti. La messa in atto di un copione rispetto ad un altro avviene in base a quale copione una delle persone interagenti applica, naturalmente non si è obbligati ad adottare il copione iniziato dall’altro ed essendo i messaggi iniziali ambigui il copione può essere negoziato. Tuttavia, una volta adottato un copione è difficile cambiarlo.
Non tutte le persone sono capaci, nella stessa misura, a relazionarsi all’altro e ciò dipende da una serie di fattori. Snyder ha realizzato una scala di valutazione che comprende 25 affermazioni di tipo descrittivo. Tali affermazioni danno una misura della capacità o meno di ognuno di: 1) porre attenzione a quello che dicono o fanno gli altri in modo da saper adottare il comportamento più opportuno, 2) avere la capacità di mostrarsi ovvero presentarsi in modo differente, 3) volere e saper assumere un comportamento invece che un altro, a seconda delle situazioni. Coloro che hanno ottenuto un alto punteggio in tale scala di valutazione si dicono abbiano un alto grado di auto monitoraggio e, quindi, sanno meglio gestirsi le relazioni.
Oltre all’auto monitoraggio, vi è l’auto consapevolezza, e se questa è alta significa che la persona pone più attenzione alla propria interiorità che al mondo circostante. Un’alta auto consapevolezza porta, essendo meno impegnati a capire cosa succede fuori di noi, a comportarsi conformemente al propri ideali, ai propri valori e si è più sinceri. Inoltre si distingue tra auto coscienza pubblica e privata. Le persone con un alto grado di auto coscienza pubblica sono meno attente ai propri sentimenti interiori e si adeguano alle circostanze, mentre le persone con un alto grado da auto coscienza privata agiscono più coerentemente con il proprio pensiero, sono più consapevoli delle proprie emozioni, ma, sanno meno prevedere le reazione altrui, collaborano con difficoltà e si addossano meno le proprie responsabilità.
Gli stereotipi sociali sono delle descrizioni semplicistiche di interi gruppi, come affermare che gli italiani sono impulsivi o i turchi iracondi. Oggi quando si parla di stereotipi s’intendono dei concetti generalmente collegati ad altri, con cui si caratterizzano tutti i membri di un gruppo. Gli stereotipi, in tal senso, possono dar luogo all’insorgenza di pregiudizi, ma, sicuramente influenzano parte delle nostri azioni quotidiane, come l’esser categorizzati in base all’abbigliamento e, quindi, la scelta del vestito da indossare.. Si ritiene che gli stereotipi si basino su processi cognitivi ed il loro funzionamento sia in funzione di processi di pensiero, tra cui i più importanti sono:

  • 1) la differenziazione e la polarizzazione, secondo cui si formano stereotipi sia sul proprio gruppo che su gruppi estranei, ove i primi sono però più raffinati rispetto ai secondi e questi ultimi sono generalizzazioni semplicistiche.
  1. 2) La memoria negativa, ossia, si ricordano più facilmente gli stereotipi negativi riguardanti i gruppi estranei, che si mantengono nel tempo e rinforzano la valutazione negativa.

3) La correlazione ingannevole, secondo cui si tende a mantenere una correlazione tra più termini, come italiano e pigrizia, anche se tale correlazione non risulta surrogata da prove valide ed oltre qualunque informazione che la invalidi.

Gli stereotipi hanno fondamentalmente due funzioni: l’una è che, seppur semplicistici, i concetti che ci facciamo sugli altri, ci fanno guardare al mondo circostante come meno estraneo; l’altra funzione, come afferma Allport, è che in ogni stereotipo c’è un nocciolo di verità, spesso infatti sono basati su fatti utili a capire le azioni degli altri.
È indubbio che gli stereotipi abbiamo un valore sociale, quindi, bisogna considerarli con una certa prudenza. In particolare, Campbell avverte su:

  • 1) possibili sopravvalutazioni delle differenze tra i gruppi,

2) possibili sottovalutazioni delle differenze all’interno di un gruppo, potendo alcuni avere uno stile di vita non del tutto omogeneo agli altri appartenenti del gruppo,

  • 3) la giustificazione dell’ostilità, per cui se non si abbandonano gli stereotipi non si analizzeranno a fondo le vere cause di un fenomeno.

Nella ricerca sulle radici del pregiudizio, due sono fondamentalmente le cause che vengono considerate: la socializzazione e le gratificazioni e punizioni presenti nella vita adulta. Il pregiudizio può essere acquisito durante le prime fasi della socializzazione, durante l’infanzia, così come può essere acquisito durante qualunque periodo della propria vita ed il fatto che aumenti o diminuisca dipende dalle circostanze storiche. L’acquisizione dei pregiudizi durante le prime fasi della socializzazione è facilitata dall’atteggiamento dei genitori, dal momento che i bambini piccoli imitano continuamente ciò che fanno i loro genitori. Analizzando proprio il rapporto tra imitazione e pregiudizi, Adorno ed il suo gruppo di ricercatori durante gli anni Quaranta, fece una ricerca sulla personalità autoritaria. La ricerca iniziò andando a ricercare le radici dell’antisemitismo, e si chiesero che tipo di persona fosse quella che odiava gli ebrei. In breve, si resero conto che questo tipo di persona non odiava solo gli ebrei, ma, le minoranze in generale. Fu scelto il termine di autoritario, perché tali persone mostrano un atteggiamento subalterno nei confronti dei loro capi, oltre ad aderire ai valori convenzionali di leader politici e religiosi, ma , essendo contro il convenzionalismo, tra cui le minoranze che sono per definizione convenzionali. Il metodo utilizzato per misurare l’autoritarismo in una persona è la scala F.

Le persone autoritarie dimostrano di avere una grande rigidità di pensiero, mostrando difficoltà nel comprendere posizioni a loro antitetiche, nonché in una diversa soluzione dei problemi. Hanno un atteggiamento positivo verso la politica e negativo verso la pornografia. Studiando le cause dell’autoritarismo e prendendo in esame l’effetto dell’imitazione, si è visto come studenti universitari con un alto punteggio nella scala F, avevano genitori che mostravano anch’essi un medesimo punteggio. Invero, si suppone che genitori autoritari allevino figli autoritari e maggiormente propensi al pregiudizio. La possibilità che pregiudizi possano crearsi in momenti successivi all’infanzia, sono tanto più veri se si considera l’influenza che hanno, nell’ingenerare pregiudizi, i mass media. In un periodo formativo, bombardati da una serie di messaggi provenienti da riviste o dalla televisione, senza un vaglio obbiettivo, di cui ancora non dispongono, si possono, nei ragazzi, generare atteggiamenti discriminatori nei confronti di un gruppo, che a sua volta può abbassare la propria auto stima.
La nascita dei pregiudizi può avvenire anche durante la vita adulta, in occasione di eventuali punizioni che creano ostilità nei confronti di quella persona o quel gruppo di persone, che hanno impartito la punizione. In particolare si prendono in considerazione gli effetti di due tipi di punizione: la competizione e le differenze tra i gruppi.
Tajfel ha sottolineato come la competizione tra gruppi, non avvenga solo per l’approvvigionamento, ma, in difesa della propria identità sociale. L’identità sociale nasce quando, introdotti in un gruppo, si prende consapevolezza di appartenervi, con conseguente senso di sicurezza perché si ha la sensazione di valere e ci si sente protetti. Nella salvaguardia della propria identità sociale, ci si mette in competizione con gli altri gruppi. Tajfel rilevò che:

  1. 1) i membri di un gruppo mostrano atteggiamenti positivi verso se stessi e discriminazioni verso gli altri,
  1. 2) i gruppi, sviluppandosi, creano un’omogeneità interna, ovvero, i suoi membri si assomigliano sempre più negli atteggiamenti, nelle opinioni, accentuando le proprie differenze rispetto agli altri gruppi, al fine di differenziarsi ulteriormente,
  1. 3) l’identità sociale prende il sopravvento sull’identità personale, per cui anche il diverso da sé non è visto come individuo, ma, come appartenente ad un gruppo,
  1. 4) i membri di un gruppo sviluppano atteggiamenti di auto compiacimento, per cui, si ritengono migliori, mentre gli altri sono cattivi, e ciò determina un rafforzamento della propria auto stima.

Per quanto riguarda le differenze tra i gruppi, si tende a non apprezzare chi la pensa differentemente da noi, perché lo si vive come una minaccia della propria auto stima.

Fonte: (Riassunto da) “Psicologo verso la professione” , P.Moderato-F. Rovetto; ed. Mc Graw Hill

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