Ipnosi clinica

L’ipnosi è un fenomeno psicologico complesso, e questa sua caratteristica ha reso difficile, se non addirittura impossibile, un necessario accordo sulla sua definizione, prova ne sia che alcuni studiosi (Haley e Weitzenhoffer, ad esempio) preferiscono parlare di molte ipnosi, e non di una sola ipnosi.

Al momento nel panorama scientifico internazionale ci sono varie definizioni da cui è possibile partire per una riflessione.

  1. American Psychological Association, 1993
  2. American Psychological Association, 2003
  3. University of Tennessee’s Conference on Brain Imaging and Hypnosis, 2003
  4. British Psychological Society, 2001

Queste definizioni hanno ottenuto tra i colleghi solo consensi parziali, ma hanno avuto il pregio di riattivare il dibattito scientifico sul tema “cosa è e cosa non è ipnosi”.

Il quadro della situazione e vari riferimenti bibliografici essenziali li puoi trovare sull’articolo: “L’importanza di sapere cosa è l’ipnosi. Il dibattito internazionale in corso sulla definizione di ipnosi”. (C. Casilli, 2005)

Sull’ipnoterapia il problema è altrettanto complesso. I vari schieramenti in campo (ad esempio: chi propone l’ipnosi come tecnica all’interno di un modello “cognitivo –comportamentale” o “psicodinamico” / e chi propone l’ipnosi come vero e proprio modello di psicologia clinica) non trovano un punto in comune. Il quadro della situazione e alcuni riferimenti bibliografici essenziali li può trovare sul l’articolo: “L’ipnoterapia contemporanea. Gli aspetti conoscitivi e applicativi dei vari modelli”. (C. Casilli, 2006)

L’ipnosi, concepita da M. H. Erickson, come stato modificato dello stato di coscienza altamente motivato e diretto a sviluppare risorse potenziali dell’individuo attraverso un attivo apprendimento inconscio, in ciò facilitato da un restringimento selettivo del campo di coscienza, aprì la strada a quella che poi sarà la strategia ipnotica moderna (De Benedittis, 2006). Successivamente, autori come Rossi e Haley (1923-2007), individuarono, all’interno delle modalità comunicative proposte da Erickson, un modello di riferimento che sarà definito come “Nuova Ipnosi”, mentre altri, ad esempio R. Bandler e J. Grinder, elaborarono il modello della Programmazione Neurolinguistica (P.N.L.), di chiara derivazione ericksoniana.

La psicoterapia ericksoniana è attualmente ancora in pieno sviluppo e la “Nuova Ipnosi”, considerata come uno dei più significativi progressi del XX secolo nel campo dellapsicoterapia, ha contribuito in modo significativo alla diffusione dell’ipnosi nella pratica clinica, mentre, i progressi nelle neuroscienze hanno acceso un rinnovato interesse della comunità scientifica sulla fenomenologia ipnotica.

L’ipnotismo, ovvero le tecniche per indurre la trance, è noto all’uomo da circa quattromila anni. I primi esempi di induzione ipnotica, con danze, canti e cerimonie collettive, sono rintracciabili in Cina dal 1700 a.C. e successivamente riscontrabili, con diverse denominazioni ed utilizzi, in numerose civiltà (Mammini, 2005).

La definizione di ipnosi appare strettamente connessa con il modo di concepire e praticare l’ipnosi stessa in un preciso momento storico e per questo motivo l’ipnosi, sin dai suoi albori, ha animato il dibattito tra coloro che credevano ad una realtà ipnotica e coloro che ne contestavano l’esistenza.
I prodromi dell’ipnoterapia sono rintracciabili nell’esorcismo di J. Gassner (1727-1779) (Peter, 2005), ma il merito di aver aperto la fase scientifica dell’ipnosi, utilizzandola come trattamento medico svincolato dall’esoterismo, viene riconosciuto a F.A. Mesmer (1734-1815). Mesmer riteneva che le patologie fossero legate ad uno squilibrio di un “fluido animale” o “magnetico” nell’organismo e che l’ipnotista fosse in grado di riequilibrare tale “fluido magnetico”.

Il Marchese di Puységur (1751-1825), agli inizi dell’800, raccolse l’eredità di Messmer e sviluppò il concetto di “sonnambulismo artificiale”, evidenziando anche l’importanza dei fattori di tipo relazionale e psicologico.

L’Abate de Faria (1775-1819), pose l’accento sulle caratteristiche del soggetto oltre che su quelle dell’operatore e definì l’ipnosi come “sonno lucido”, identificando una particolare “impressionabilità psichica” individuale.

J. Braid (1795-1860), partendo dal “sonnambulismo artificiale”, coniò il termine di “ipnosi”, sancendo l’associazione tra ipnosi e sonno, per identificare i diversi fenomeni, apparentemente simili al sonno, che si verificavano nei soggetti ipnotizzati ed intuì anche l’importanza della concentrazione del soggetto verso un’unica idea per l’elicitazione dello stato ipnotico.

Nella seconda metà del sec. XIX, l’ipnosi conobbe il suo momento di maggior popolarità in ambito accademico, grazie all’opera del neurologo J. M. Charcot (1825-1893), il quale, sottolineando le affinità fenomeniche tra isteria ed ipnosi, ritenne l’ipnosi come l’espressione di uno stato neuropatologico riproducibile e presente negli isterici sotto forma di disturbo. Tale concezione, sostenuta da autorevoli esponenti, tra i quali Babinski (1857-1932) e G. de La Tourette (1857-1904), contribuì a demolire la definizione di ipnosi come fenomeno legato al magnetismo e al sonnambulismo.

L’induzione di uno stato sonnambulico non patologico e la suggestione, furono invece i cardini della definizione di ipnosi proposta dagli esponenti della scuola di Nancy, tra i quali Bernheim (1840-1919) e Liebault (1823-1925).

H. Bernheim considerò l’ipnosi come una condizione psicologica e non solo fisiologica, identificandola con uno stato d’accentuata suggestionabilità dipendente dalle caratteristiche del soggetto e dall’influenza dei suggerimenti forniti dall’ipnotista.

P. Janet (1859-1947), pose alla base del processo ipnotico la “teoria dei complessi dissociati” e ipotizzò l’esistenza di “fenomeni dissociati”, che potevano tornare alla memoria e i cui effetti potevano essere osservati solo nello stato ipnotico.

W. James (1842-1952), influenzato dalla teoria di Janet, giunse alla conclusione che la suggestionabilità fosse l’indice principale del processo ipnotico, mentre Pavlov (1849-1936), considerò l’ipnosi alla pari di un riflesso evocabile attraverso opportune stimolazioni verbali ed espressione di un processo inibitorio a carico delle strutture corticali.

Fu grazie all’opera di autori come C. Hull (1884-1952), che fondò il primo laboratorio di ricerca sui fenomeni ipnotici con tecniche sperimentali alla Yale University, Milton H. Erickson (1901-1980), E. Hilgard (1904-2001) e M. Orne (1927-2000) che l’ipnosi, dopo più di mezzo secolo e due conflitti mondiali, ritrovò una nuova spinta propulsiva.

Scritto dal Dr. Emanuele Mazzone

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