Il ritardo mentale è definito come un funzionamento intellettuale generale significativamente sotto la media, presente contemporaneamente a carenze del comportamento adattivo che si manifesta in età evolutiva, prima cioè del compimento del diciottesimo anno.
Per funzionamento sotto la media si intende un quoziente intellettivo (QI) pari o inferiore a 70, ottenuto in test psicometrici, ulteriormente definito dal livello di gravità come:
Quando il ritardo mentale è profondo coinvolge in modo uniforme tutte le aree del funzionamento intellettivo. In genere, invece, gli individui con ritardo mentale mostrano relativi punti forza e punti deboli nelle abilità cognitive specifiche, che interagiscono coinvolgendo tutto il funzionamento cognitivo.
La American Association on Mental Retardation ha proposto una modifica di questa definizione che si focalizza sulle abilità adattive in 10 aree: la comunicazione, la cura di sé, la vita a casa, gli schemi sociali, l’uso della comunità, l’autodirezionalità, la salute e la sicurezza, il funzionamento scolastico, il lavoro, il tempo libero.
Di queste aree almeno due devono essere significativamente compromesse per fare una diagnosi di ritardo mentale.
L’obiettivo di questa ridefinizione è enfatizzare meno il grado di deficit psicometrico e focalizzarsi di più sull’abilità del soggetto a funzionare effettivamente nella comunità e sul tipo di sostegno di cui ha bisogno.
{tab=Insorgenza} Quanto è diffuso?
Nel mondo ci sono 156 milioni di persone affette da ritardo mentale. La prevalenza riportata è molto variabile, oscillando dall’1 al 3% della popolazione.
Quali sono le cause?
Il ritardo mentale può essere causato da qualsiasi condizione che impedisca il normale sviluppo del cervello prima, durante, dopo la nascita o nel periodo dell’infanzia.
Si possono distinguere fattori etiologici genetici (monogenetici, poligenetici, aberrazioni cromosomiche) e fattori acquisiti che possono essere gestazionali (malattie materne infettive, agenti chimici, traumi, ecc.), perinatali (prematurità, postmaturità, itteri, anossia, traumi cranici, ecc.) e post-natali (encefaliti, meningiti, vasculopatie cerebrali, ecc.).
Nel 50% dei casi però non è possibile individuare una causa precisa.
{tab=Trattamento}
Il ritardo mentale necessita spesso di un trattamento medico, perché è frequentemente associato ad alterazioni neurologiche e somatiche.Una attenzione particolare è data ad insegnare abilità che favoriscano l’autonomia e l’integrazione sociale del paziente, quali l’uso del denaro e del telefono, la capacità di muoversi nella comunità (abilità pedonali, uso dell’autobus pubblico, ecc.), le abilità domestiche e di cura del luogo di vita, le abilità sociali e interpersonali, le capacità prelavorative e lavorative.
Alla riabilitazione ed al supporto psicologico è importante abbinare una terapia psicoterapeutica che si è rivelata la più efficace nell’intervento sui disturbi comportamentali (aggressività, impulsività, stereotipie, autolesionismo, comportamenti oppositori, ecc.) e mentali (ansia, depressione, psicosi, disturbo ossessivo-compulsivo) associati a ritardo mentale che si rivelano spesso un ostacolo al successo della riabilitazione cognitiva e all’adattamento della persona con handicap.
Particolarmente utili nel trattamento di persone con ritardo mentale sono tecniche cognitive e comportamentali, quali il rinforzo positivo e differenziale, l’estinzione, il problem-solving, il training di auto-istruzione, la token economy, l’attenuazione dello stimolo, il chaining, il prompting ed altre.
Nell’infanzia l’insonnia viene diagnosticata quando è presente una difficoltà ad addormentarsi e/o la presenza di risvegli multipli notturni.
Nel bambino il sonno è un processo in evoluzione, in via di stabilizzazione, per cui si può facilmente instaurare l’insonnia, legata alla gestione dell’addormentamento e dei risvegli notturni da parte dei genitori.
Il segnale più importate dell’insorgenza di un disturbo di inizio e mantenimento del sonno è l’incapacità del bambino a riaddormentarsi autonomamente.
Il disturbo del sonno può avere conseguenze importanti per la salute fisica e psicologica, e se si cronicizza si possono instaurare disturbi del comportamento diurno, disturbi dell’umore, facile stancabilità diurna e deficit di concentrazione, disturbi della memoria e dell’apprendimento, deficit di crescita a causa della ridotta riduzione dell’ormone della crescita, ed inoltre stress famigliare causato dalla deprivazione di sonno nei genitori (questa può essere una causa di abusi all’infanzia e si possono instaurare disturbi psicologici).
{tab=Insorgenza}
Quanto è diffusa?
L’epidemiologia dell’insonnia del bambino presenta una variabilità legata all’età: l’insonnia è presente in circa il 20-30% dei bambini nei primi 2 anni di vita e si riduce al 15% dai 3 anni in poi. In generale i bambini italiani dormono meno rispetto ai bambini americani ed europei: si coricano più tardi e si svegliano più frequentemente durante la notte.
Quali sono le cause?
L’insonnia nel bambino viene diagnosticata quando compare per almeno tre notti a settimana, presentandosi difficoltà di addormentamento (per un tempo maggiore di 45 minuti), e/o risvegli multipli (più di 2, con oltre 30 minuti di tempo necessari per riaddormentarsi), e/o risvegli precoci.
L’insonnia nel bambino può essere causata da molteplici fattori: cause organiche, problemi psicosociali, patologie della relazione bambino-genitore, fattori genetici, prematurità, disturbi psichiatrici nelle figure genitoriali.
{tab=Tipi}
I tipi di insonnia nell’infanzia si distinguono in base all’età.
Primo anno di vita
Da 1 a 6 anni
Adolescenza
Indipendenti dall’età
{tab=Trattamento}
Trattamento Psicologico
È importante innanzitutto conoscere i principi basilari di igiene del sonno dell’infanzia, e soprattutto quali sono le comuni abitudini scorrette che possono instaurare o cronicizzate un problema del sonno nei bambini:
Per migliorare il sonno del bambino spesso è sufficiente intervenire su queste abitudini di vita e sui fattori ambientali (il rumore, la temperatura nella stanza, la luce nella stanza, ecc.), applicando i principi di igiene del sonno (aiutare il bambino ad associare il sonno con il suo lettino, mantenere costanti gli orari di addormentamento e risveglio, mandare il bambino a dormire già sazio).
Vengono utilizzate, poi, tecniche che si basano sull’ipotesi che bisogna far acquisire al bambino un addormentamento autonomo. Tra queste tecniche vi sono le seguenti.
Il trattamento farmacologico dell’insonnia può essere utilizzato come soluzione temporanea soprattutto per facilitare il successo delle tecniche psicoterapeutiche, in quanto il bambino si addormenta più rapidamente. La terapia farmacologia senza l’associazione con un’adeguata ristrutturazione delle abitudini del sonno comporta, infatti, la ricomparsa dei disturbi del sonno nel momento in cui viene interrotta l’assunzione del farmaco. Nei bambini piccoli vengono spesso utilizzati antistaminici e la melatonina, negli adolescenti si possono utilizzare le terapie comunemente somministrate in età adulta.
Immaginate di vivere in un caleidoscopio in veloce movimento, dove suoni, immagini e pensieri cambiano costantemente.
Di provare noia facilmente, di non riuscire a rimanere concentrati sulle attività che bisogna completare.
Di essere distratti da qualsiasi suono e stimolo visivo, la vostra mente vi trascina da un pensiero all’altro, da un‘attività all’altra.
Magari siete così coinvolti in un’intricata rete di pensieri e immagini che non vi accorgete quando qualcuno parla con voi.
Per molte persone, soffrire di questi sintomi vuol dire essere affetti da un Disturbo da Deficit dell’Attenzione / Iperattività. Queste persone possono essere incapaci di rimanere seduti e fermi, di progettare in anticipo e finire le attività che si sono iniziate, o di essere pienamente consapevoli di quello che sta accadendo loro intorno. Agli occhi dei loro familiari, compagni di classe, o colleghi di lavoro, sembrano vivere in un turbine di attività disorganizzate e frenetiche.
Inaspettatamente invece (in alcuni giorni e in alcune situazioni) sembrano stare bene e ciò lascia presupporre che le persone con Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività, in realtà, siano in grado di controllare i loro comportamenti.
Come risultato, il disturbo può rovinare le relazioni interpersonali di chi ne è affetto, prosciugare le loro energie, diminuire l’autostima e arrivare a distruggere loro la vita.
L’Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività, un tempo chiamato disfunzione cerebrale minimale o ipercinesi, è uno dei più comuni disturbi mentali nei bambini. Colpisce dal 3 al 5% dei bambini, circa 2 milioni di bambini americani. I maschi sono colpiti in proporzione due o tre volte di più delle femmine. Negli Stati Uniti, in media, almeno un bambino in ogni classe soffre di questo disturbo e ha bisogno di aiuto. Spesso l’Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività continua nell’adolescenza e in età adulta e può interferire significativamente nella vita quotidiana, causando intense sofferenze emotive e distruggendo sogni e speranze.
{tab=Sintomi}
Il Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività può essere identificato solo osservando certe caratteristiche comportamentali che variano da persona a persona. Viene diagnosticato ai bambini e agli adolescenti che mostrano costantemente certe caratteristiche comportamentali per un certo periodo di tempo. I più comuni comportamenti sono inclusi in tre categorie base: disattenzione, iperattività e impulsività.
Disattenzione.Le persone che soffrono di disattenzione hanno serie difficoltà a rimanere concentrati su qualsiasi cosa e possono annoiarsi di un’attività intrapresa, dopo solo pochi minuti. Possono prestare attenzione alle attività e alle cose che piacciono spontaneamente, senza sforzo e in modo automatico. Ma risulta loro molto difficile focalizzare l’attenzione deliberatamente per organizzare e finire un lavoro o imparare qualcosa di nuovo.
Non tutti coloro che sono eccessivamente iperattivi, disattenti o impulsivi hanno un disturbo dell’attenzione.
{tab=Valutazione}
Per valutare se una persona ha tale patologia, gli specialisti considerano diverse domande critiche cui dare una risposta:
I criteri per poter adeguatamente diagnosticare la disattenzione includono:
Alcuni segni di iperattività e impulsività sono:
I comportamenti devono manifestarsi precocemente nell’arco della vita, prima dei 7 anni e devono manifestarsi con continuità per almeno 6 mesi.
Nei bambini, devono essere più frequenti e più gravi rispetto ad analoghi comportamenti manifestati da altri bambini della stessa età. Cosa fondamentale, i comportamenti devono creare un reale handicap in almeno 2 aree di vita della persona, per esempio a scuola, a casa, al lavoro o nell’ambiente sociale.
{tab=Errori di Valutazione}
Che cosa può assomigliare a un Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività ?
Una delle difficoltà nella diagnosi del disturbo è la presenza di ulteriori problemi che spesso accompagnano il Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività. Per esempio, molti bambini soffrono anche di uno specifico disturbo dell’apprendimento, il che vuol dire serie difficoltà a padroneggiare il linguaggio o certe abilità scolastiche, solitamente leggere, scrivere e far di conto. Il’Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività non è di per sé uno specifico disturbo dell’apprendimento. Ma siccome può interferire con l’attenzione e la concentrazione, rende ulteriormente difficile e impegnativo, per un bambino con deficit dell'apprendimento, imparare e andare bene a scuola.
Molti bambini (in particolare i più giovani e i maschi) hanno esperienza di altri disturbi emozionali. Circa uno su quattro soffrono d'ansia. Si sentono tremendamente preoccupati, tesi o a disagio, anche quando non c’è nulla di cui avere paura. Siccome queste sensazioni sono più spaventose, forti e frequenti delle normali paure, possono influenzare i comportamenti e i pensieri di questi ragazzi.
{tab=Trattamento}Il Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività è una diagnosi seria che richiede un trattamento di lunga durata attraverso farmaci e interventi di consulenza psicologica e di psicoterapia.
E’ perciò importante che uno specialista per prima cosa osservi e gestisca ogni altra possibile causa di questi comportamenti.
Oltre agli psicologi della scuola, ci sono molte altre figure professionali qualificate per la diagnosi e la cura. I neuropsichiatri infantili sono medici specializzati nella diagnosi e nella cura dei disturbi mentali e comportamentali nell’infanzia. Uno psichiatra può fare terapia e prescrivere qualsiasi farmaco necessario. Anche gli psicologi infantili sono qualificati nel diagnosticare e curare tali disturbi. Possono condurre una terapia con il bambino e aiutare la famiglia a sviluppare tecniche specifiche per fronteggiare il disturbo.
Lo specialista effettua colloqui con insegnati, genitori e altre persone che conoscono bene il bambino, come bidelli, baby-sitter, ecc. Ai genitori viene di solito richiesto di descrivere il comportamento dei figli in diverse situazioni. Possono anche approntare una scala per indicare quanto sembrano intensi e frequenti i comportamenti.
In alcuni casi si possono valutare la salute mentale e l'adattamento sociale del bambino. I test di intelligenza e i risultati nell'apprendimento possono aiutare a capire se il bambino ha un disturbo dell'apprendimento e se le eventuali lacune riguardano tutte le materie scolastiche o solo alcune.
Nell’analizzare i dati, gli specialisti fanno molta attenzione al comportamento del bambino in situazioni rumorose o non-strutturate, come le feste o durante i compiti che richiedono un'elevata attenzione come leggere, risolvere problemi matematici o fare giochi da tavolo. Nella valutazione si attribuisce minore importanza ai comportamenti durante il gioco libero o la libera attenzione individuale.
I medicinali non curano il disturbo, si limitano a controllare temporaneamente i sintomi. Sebbene aiutino le persone a prestare maggior attenzione e a completare i loro lavori, non possono aumentare le conoscenze o migliorare le abilità scolastiche; i farmaci da soli non possono aiutare le persone a sentirsi meglio riguardo loro stessi o a fronteggiare i problemi. Questo richiede un altro tipo di trattamento e di supporto, quello psicologico e psicoterapeutico.
Nella psicoterapia i pazienti parlano col terapeuta dei pensieri e delle emozioni sgradevoli, disturbanti; esplorano i modelli di comportamento autodistruttivi e imparano modi alternativi per gestire le proprie emozioni. Nel dialogo il terapeuta cerca di aiutarli a capire come possono cambiare. I pazienti, comunque, di solito vogliono acquisire un controllo più diretto dei loro comportamenti sintomatici. Date queste premesse si rendono necessarie delle modalità di intervento più dirette.
Per enuresi intendiamo l’emissione attiva completa e incontrollata di urina dopo che sia stata raggiunta la maturità fisiologica in genere acquisita tra i 3 e i 4 anni.
Con encopresi invece è definitito il disturbo caratterizzato dall'emissione involontaria ed inconsapevole delle feci.
L'enuresi è quindi un'alterazione del controllo sfinterico urinario può essere primaria quando non si è verificata l’acquisizione della pulizia corporea oppure secondaria qualora si manifesti dopo, un periodo più o meno lungo, l’acquisizione del controllo fisiologico.
Il controllo sfinterico urinario è caratterizzato dal passaggio da un comportamento riflesso automatico ad un comportamento volontario controllato.
Nel neonato la minzione è dapprima successiva alla replezione (riempimento della vescica). Il controllo di questo sfintere viene acquisito successivamente in modo progressivo. L’acquisizione, quindi, di un vero controllo sfinterico non è possibile prima che la motricità vescicale sia giunta a maturazione fisiologica, anche se un condizionamento precoce può far credere ad un apparente pulizia.
Per poter diagnosticare l'enuresi si devono presentare i seguenti sintomi:
Generalmente l’enuresi è considerata un sintomo benigno con tendenza a scomparire durante la pubertà (periodo della vita compreso tra gli 11 e 15 anni). Le enuresi funzionali, pur avendo un’origine multifattoriale sono legate a fattori psicologici conflittuali.
Basti ricordare la frequente corrispondenza tra comparsa e scomparsa dell’enuresi e quelle di un episodio che segna la vita del bambino: separazione familiare, nascita di un fratellino, entrata nella scuola, un educatore aggressivo e violento, emozioni di qualsiasi natura.
L’incontinenza notturna è più frequente della diurna, e comporta assai spesso l’instaurazione di rituali d’ogni tipo in seno alla famiglia: i genitori si alzano parecchie volte per far urinare il bambino, cosa che serve a ben poco, bensì a rinforzare l’interesse familiare per il sintomo e a dar al bambino gratificazioni di ogni genere (disturbare i genitori, manipolazione, ecc.).
L’enuresi è associata alla fase paradossale del sonno, allo stadio corrispondente al sogno, oppure al passaggio dal sonno profondo a un sonno leggero. Per quanto riguarda il sesso, la maggioranza degli autori segnala un tasso di enuresi più alto nei maschi che nelle femmine (10% nei maschi contro 9% nelle femmine). Alcuni studi hanno messo in relazione l’enuresi e altri sintomi, quali le minzioni imperiose diurne, l’enconpresi, il sonno profondo, l’immaturità affettiva e i disturbi della parola.
{tab=Trattamento}
I genitori sono sempre pronti a tutto: fino a minacciare e a fare paura.
E’ importante dare fiducia al bambino. Creare un’atmosfera distesa, libera (non permissiva) fiduciosa, sarà per lui la cosa più utile e più importante per iniziare un “cambiamento di rotta”. Ovviamente non deve sperimentare né vergogna, né paura. Al contrario è importante fargli intravedere i vantaggi della “guarigione” (i piccoli successi vanno rinforzati attraverso calorosi complimenti). Ridurre al minimo le circostanze che potrebbero favorire la sua enuresi.
Un’atmosfera familiare distesa, senza una costante apprensione per la sua enuresi, riduce tanto la tensione nervosa quanto i “benefici secondari”. Dovrebbe, inoltre, essere maggiormente coinvolto nella vita familiare e non tenerlo in disparte. La tolleranza e la malleabilità fanno parte integrante del processo di guarigione. Ogni bambino ha diritto alla propria libertà, a qualche insuccesso scolastico, a qualche incapacità o ricaduta d'efficienza.
Per nessuna ragione non deve essere considerata la guarigione dell’enuresi come una fine assoluta dei problemi.
L’enuresi è soltanto una spia dei problemi affettivi del bambino: sono quelli che bisogna innanzitutto risolvere. L’enuresi è spesso legata a sentimenti ed emozioni che, di giorno, non trovano la via per esprimersi. Anche se il disturbo comune a tutte le enuresi è il difetto del controllo della minzione, questo non vuol dire che l’eziopatogenesi sia sempre la stessa. Quando si formula un programma terapeutico, quindi, non si deve agire unicamente sul sintomo, ma su una condotta di cui bisogna delucidare il contesto psicofisico. Di fronte ai disordini psicologici primari o secondari, è indispensabile prendere un certo atteggiamento psicologico sia di fronte al bambino che nei confronti dei genitori.
Dobbiamo sostenere il bambino, rilassarlo e decolpevolizzarlo, farlo cooperare alle attività terapeutiche, metterlo al corrente, come fanno certi autori, del meccanismo funzionale della minzione.
I genitori hanno ugualmente bisogno di essere sostenuti (… non colpevolizzati) per meglio sopportare questa affezione spesso considerata come vergognosa, essere informati della condotta più utile e vantaggiosa a favorire l’educazione sfinterica, ed essere messi in guardia contro l’utilizzazione del sintomo a fini aggressivi o di una sorta tutela spesso cercati e subiti dal bambino. Così rischiano di trasformare il sintomo – reazione in una condotta in cui il bambino trova “benefici secondari”. In certi casi, questo atteggiamento di sostegno non è sufficiente e deve essere presa in considerazione una psicoterapia, le cui linee generali devono essere:
Nel caso di una personalità in evoluzione, l’enuresi è nello stesso tempo agita e subita, beneficio e danno. E’ in questo stato di ambivalenza che la terapia può, sia portando nuovi benefici, sia creando nuove motivazioni, sia mettendo in attività sistemi organici in stato di passività, aiutare il bambino a trovare una via d’uscita e permettergli, da una parte, di offrirgli la guarigione, e dall’altra, di uscire dalla malattia che, nella nostra cultura, comporta per lui in fin dei conti più inconvenienti che vantaggi.
I disturbi dell’apprendimento sono condizioni nelle quali risulta specificamente compromessa la capacità di apprendimento della lettura (dislessia), della scrittura (disgrafia e disortografia) o del calcolo (discalculia), in assenza di deficit intellettivi, neurologici o sensoriali e con adeguate condizioni socioculturali.
Sono spesso associati a disturbi del linguaggio, disordini della lateralizzazione spazio-temporale (i pazienti confondono ad esempio ieri e domani, destra e sinistra), disturbi emotivi (ansia, insicurezza, iperattività, tic, enuresi, ecc.).
{tab=Cause}
Vi sono varie ipotesi circa le cause:Una diagnosi accurata è la premessa fondamentale del successo del processo terapeutico e serve a individuare le difficoltà specifiche del paziente.
La diagnosi si fonda sulla raccolta d’informazioni riguardanti il paziente (che può mettere in evidenza familiarità), sulla valutazione del livello intellettivo, sull’esame delle funzioni prussiche e sull’indagine di eventuali deficit neurologici e sensoriali.
Una volta esclusa la presenza di deficit intellettivi, sensoriali o neurologici, si procede ad una valutazione accurata delle abilità di lettura, scrittura e calcolo ricorrendo all’uso di test standardizzati.
{tab=Trattamento}
Nell’intervento sui disturbi dell’apprendimento si è rilevato particolarmente efficace l’abbinamento della riabilitazione cognitiva con la terapia psicologica di sostegno.
La psicoterapia cognitiva si ripropone, attraverso esercizi mirati e programmi al computer, di favorire lo sviluppo delle capacità di lettura, scrittura o calcolo specificatamente compromesse.
Ad esempio, nell’ambito di un problema di disortografia, per correggere eventuali errori fonologici vengono proposti esercizi in grado di stimolare la comprensione della corrispondenza grafema-fonema attraverso la discriminazione, l’analisi e la segmentazione fonetica.
L’uso contemporaneo di tecniche sia cognitive che comportamentali è fondamentale per affrontare e risolvere i problemi emotivi (ansia, insicurezza, iperattività, ecc.) associati, quasi sempre, ai disturbi dell’apprendimento.
A tal fine, viene strutturato un training all’autonomia che favorisca un miglioramento dell’autostima e una diminuzione dell’ansia; vengono insegnate abilità di problem-solving e vengono utilizzate tecniche quali la Token Economy per favorire la motivazione al compito (spesso carente a seguito dei numerosi insuccessi sperimentati dalla persona).
© 2023 FavThemes