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Le moderne teorie scientifiche considerano la mente come un sistema multicomponenziale di elaborazione delle informazioni, costituito da diversi circuiti neurali indipendenti ed integrati, attraverso un processo fisiologico di eccitazione e di inibizione (Rindi e Manni, 1990).
All’interno di questa concezione, si inserisce la “Teoria della Mente”, ovvero l’abilità di inferire gli stati mentali altrui, vale a dire i loro pensieri, opinioni, desideri, intenzioni e la capacità di utilizzare tali informazioni per interpretare ciò che essi dicono, attribuendo significato al loro comportamento e prevedendo anche cosa faranno (Howlin, Baron-Cohen e Hadwin, 1999). Una “Teoria della Mente” sviluppata permette di dare senso al comportamento interpersonale, alla comunicazione, al provare empatia e consente inoltre la riflessione su se stessi, la capacità di persuasione, la versatilità nel cambiare opinione, la flessibilità cognitiva, la comprensione dell’inganno e dell’ironia.
L’assenza o l’inadeguato sviluppo di una buona “Teoria della Mente”, all’interno di una costellazione di altri disturbi che riguardano percezione, memoria e ragionamento, è una ipotesi esplicativa per l’origine delle difficoltà cognitive, comunicative, relazionali e comportamentali in soggetti con disturbo generalizzato dello sviluppo di tipo autistico (Frith, 1989). Una “Teoria della Mente” poco sviluppata infatti, espone l’individuo a difficoltà in ambito cognitivo, comunicativo, relazionale e sociale, rendendolo incapace di stringere amicizie, di anticipare ciò che gli altri pensano, di capire le motivazioni che regolano il comportamento sociale, di intuire il significato contenuto nel messaggio dell’interlocutore, di comprendere le regole non scritte del comportamento sociale, di tenere conto di ciò che gli altri sanno, di essere sensibile nei confronti dei sentimenti altrui, di capire i fraintendimenti, il paradosso e la metafora.
Uno stile cognitivo analitico, sequenziale e mancante di quella capacità integrativa indispensabile ad orientare correttamente il comportamento dell’individuo nell’ambiente sono anche caratteristiche sovrapponibili alle problematiche presentate dai soggetti con deficit delle aree frontali: sindromi frontali o sindromi disesecutive (Faglioni, 1995). Tali sintomi sono compatibili con una debolezza della “coerenza centrale”, ovvero quella capacità cognitiva che permette al soggetto di integrare informazioni a diversi livelli e che si associa ad una debolezza delle “funzioni esecutive”, con conseguenti difficoltà nelle abilità di pianificazione, organizzazione, flessibilità cognitiva ed autocontrollo. Quando le funzioni esecutive sono carenti, il soggetto tende a mostrare deficit nelle capacità di generalizzazione, flessibilità, creatività e coerenza nel comportamentale, ad esempio controllo dell’impulsività.
La capacità di saper integrare in maniera coerente cognizioni, percezioni e motivazioni, agganciandole all’esperienze pregressa, è un’operazione che la mente umana compie in continuazione, sotto il monitoraggio dell’esecutivo centrale, ovvero il meccanismo cognitivo che trova la sua traduzione anatomica nei circuiti neurali allocati nelle aree frontali e riceve afferenze e proietta efferenze in altre aree cerebrali, corticali e sotticorticali (Nolte, 1991).
Tra le possibilità correlate ad una buona “Teoria della Mente” e quindi ad una attività adeguata delle funzioni esecutive, coordinate da un esecutivo centrale, quelle maggiormente interpretabili alla luce del processo ipnotico, riguardano l’astrazione, la creatività, la generalizzazione e la flessibilità cognitiva.
La flessibilità cognitiva, caratteristica distintiva di una buona “Teoria della Mente”, appare sviluppata nei soggetti ipnotizzabili ed è associata con i cambiamenti neurofisiologici derivanti dalle istruzioni ipnotiche. La flessibilità cognitiva, in soggetti altamente suscettibili, si traduce infatti, in maggiori capacità di assorbimento, creatività, dissociazione, attenzione e vividezza della immaginazione, rispetto ai soggetti scarsamente ipnotizzabili. Alla flessibilità cognitiva sembrerebbe corrispondere, nei soggetti maggiormente ipnotizzabili, anche la capacità di saper innescare pattern di associazione e di integrazione più vasta tra circuiti neuronali (Gruzelier, 2006).
Gruzelier, ha apportato ulteriori contributi scientifici in questo senso, analizzando la relazione tra i cambiamenti neurofisiologici nelle funzioni frontali e l’ipnosi, in soggetti altamente e scarsamente ipnotizzabili, ovvero, è lecito ipotizzare, in soggetti con alta o bassa flessibilità cognitiva. Secondo l’autore, le alterazioni delle funzioni frontali anteriori sono significative nell’influenza dell’ipnosi in soggetti altamente ipnotizzabili, mentre non sono presenti nei soggetti scarsamente ipnotizzabili. Tali alterazioni non implicano solo l’inibizione globale dei lobi frontali, ma variano anche in funzione della durata temporale dell’ipnosi. Le funzioni frontali sinistre, che appaiono maggiormente suscettibili all’inibizione, rispetto a quelle dell’emisfero destro, in funzione delle istruzioni ipnotiche possono essere anche esse attivate, grazie alla flessibilità cognitiva, ma solo nei soggetti altamente ipnotizzabili. Questo dato è compatibile anche con l’idea che il fenomeno ipnotico non possa essere semplicisticamente ridotto ad una dinamica binaria tra emisfero destro e sinistro.
In conclusione, sembra che la flessibilità cognitiva e quindi una buona “Teoria della Mente”, siano strettamente interrelate con l’ipnotizzabilità del soggetto e di conseguenza con i cambiamenti fisiologici osservabili nel processo ipnotico stesso (Gruzelier, 2006).
Questa riflessione trova supporto anche nel lavoro di Sandler e Woody, condotto con soggetti altamente e scarsamente ipnotizzali. Nello studio gli autori rilevano che ad un’alta percezione soggettiva di vividezza immaginativa, concentrazione e controllo, in risposta a suggestioni ipnotiche di diversa difficoltà, corrisponde un minore sforzo cognitivo, evidenziato da una minore frequenza del battito cardiaco, nei soggetti altamente ipnotizzabili, rispetto a quelli scarsamente ipnotizzabili (Sandler e Woody 2006).

 del Dr. Emanuele Mazzone

Riassunto: aree corticali frontali e prefrontali svolgono un ruolo primario nella regolazione dei processi attentivi, prerequisiti ad attività cognitive e comportamentali quali l’apprendimento, la memoria, l’astrazione, il giudizio, la previsione e la progettazione. In ipnosi, si rileva l’alterazione globale dell’attività corticale, associata alla variazione funzionale dei sistemi di controllo e di supervisione dell’attenzione, indicatori di maggiore flessibilità cognitiva, con conseguente restringimento del campo di realtà e modificazione dello stato di coscienza. Nell’articolo sono descritte le interazioni, anatomiche e funzionali, di circuiti neurali, differenti ed integrati, che presiedono alla funzionalità delle strutture cognitive di controllo dei processi attentivi nella fenomenologia dell’ipnosi.

Le moderne teorie scientifiche considerano la mente come un sistema multicomponenziale di elaborazione delle informazioni, costituito da diversi circuiti neurali indipendenti ed integrati, attraverso un processo fisiologico di eccitazione e di inibizione (Rindi e Manni, 1990). 

All’interno di questa concezione, si inserisce la “Teoria della Mente”, ovvero l’abilità di inferire gli stati mentali altrui, vale a dire i loro pensieri, opinioni, desideri, intenzioni e la capacità di utilizzare tali informazioni per interpretare ciò che essi dicono, attribuendo significato al loro comportamento e prevedendo anche cosa faranno (Howlin, Baron-Cohen e Hadwin, 1999).

Una “Teoria della Mente” sviluppata permette di dare senso al comportamento interpersonale, alla comunicazione, al provare empatia e consente inoltre la riflessione su se stessi, la capacità di persuasione, la versatilità nel cambiare opinione, la flessibilità cognitiva, la comprensione dell’inganno e dell’ironia. L’assenza o l’inadeguato sviluppo di una buona “Teoria della Mente”, all’interno di una costellazione di altri disturbi che riguardano percezione, memoria e ragionamento, è una ipotesi esplicativa per l’origine delle difficoltà cognitive, comunicative, relazionali e comportamentali in soggetti con disturbo generalizzato dello sviluppo di tipo autistico (Frith, 1989).

Una “Teoria della Mente” poco sviluppata infatti, espone l’individuo a difficoltà in ambito cognitivo, comunicativo, relazionale e sociale, rendendolo incapace di stringere amicizie, di anticipare ciò che gli altri pensano, di capire le motivazioni che regolano il comportamento sociale, di intuire il significato contenuto nel messaggio dell’interlocutore, di comprendere le regole non scritte del comportamento sociale, di tenere conto di ciò che gli altri sanno, di essere sensibile nei confronti dei sentimenti altrui, di capire i fraintendimenti, il paradosso e la metafora. 

Uno stile cognitivo analitico, sequenziale e mancante di quella capacità integrativa indispensabile ad orientare correttamente il comportamento dell’individuo nell’ambiente sono anche caratteristiche sovrapponibili alle problematiche presentate dai soggetti con deficit delle aree frontali: sindromi frontali o sindromi disesecutive (Faglioni, 1995). Tali sintomi sono compatibili con una debolezza della “coerenza centrale”, ovvero quella capacità cognitiva che permette al soggetto di integrare informazioni a diversi livelli e che si associa ad una debolezza delle “funzioni esecutive”, con conseguenti difficoltà nelle abilità di pianificazione, organizzazione, flessibilità cognitiva ed autocontrollo.

Quando le funzioni esecutive sono carenti, il soggetto tende a mostrare deficit nelle capacità di generalizzazione, flessibilità, creatività e coerenza nel comportamentale, ad esempio controllo dell’impulsività. La capacità di saper integrare in maniera coerente cognizioni, percezioni e motivazioni, agganciandole all’esperienze pregressa, è un’operazione che la mente umana compie in continuazione, sotto il monitoraggio dell’esecutivo centrale, ovvero il meccanismo cognitivo che trova la sua traduzione anatomica nei circuiti neurali allocati nelle aree frontali e riceve afferenze e proietta efferenze in altre aree cerebrali, corticali e sotticorticali (Nolte, 1991). 

Tra le possibilità correlate ad una buona “Teoria della Mente” e quindi ad una attività adeguata delle funzioni esecutive, coordinate da un esecutivo centrale, quelle maggiormente interpretabili alla luce del processo ipnotico, riguardano l’astrazione, la creatività, la generalizzazione e la flessibilità cognitiva. La flessibilità cognitiva, caratteristica distintiva di una buona “Teoria della Mente”, appare sviluppata nei soggetti ipnotizzabili ed è associata con i cambiamenti neurofisiologici derivanti dalle istruzioni ipnotiche. La flessibilità cognitiva, in soggetti altamente suscettibili, si traduce infatti, in maggiori capacità di assorbimento, creatività, dissociazione, attenzione e vividezza della immaginazione, rispetto ai soggetti scarsamente ipnotizzabili.

Alla flessibilità cognitiva sembrerebbe corrispondere, nei soggetti maggiormente ipnotizzabili, anche la capacità di saper innescare pattern di associazione e di integrazione più vasta tra circuiti neuronali (Gruzelier, 2006). Gruzelier, ha apportato ulteriori contributi scientifici in questo senso, analizzando la relazione tra i cambiamenti neurofisiologici nelle funzioni frontali e l’ipnosi, in soggetti altamente e scarsamente ipnotizzabili, ovvero, è lecito ipotizzare, in soggetti con alta o bassa flessibilità cognitiva. Secondo l’autore, le alterazioni delle funzioni frontali anteriori sono significative nell’influenza dell’ipnosi in soggetti altamente ipnotizzabili, mentre non sono presenti nei soggetti scarsamente ipnotizzabili. Tali alterazioni non implicano solo l’inibizione globale dei lobi frontali, ma variano anche in funzione della durata temporale dell’ipnosi.

Le funzioni frontali sinistre, che appaiono maggiormente suscettibili all’inibizione, rispetto a quelle dell’emisfero destro, in funzione delle istruzioni ipnotiche possono essere anche esse attivate, grazie alla flessibilità cognitiva, ma solo nei soggetti altamente ipnotizzabili. Questo dato è compatibile anche con l’idea che il fenomeno ipnotico non possa essere semplicisticamente ridotto ad una dinamica binaria tra emisfero destro e sinistro.In conclusione, sembra che la flessibilità cognitiva e quindi una buona “Teoria della Mente”, siano strettamente interrelate con l’ipnotizzabilità del soggetto e di conseguenza con i cambiamenti fisiologici osservabili nel processo ipnotico stesso (Gruzelier, 2006).

Questa riflessione trova supporto anche nel lavoro di Sandler e Woody, condotto con soggetti altamente e scarsamente ipnotizzali. Nello studio gli autori rilevano che ad un’alta percezione soggettiva di vividezza immaginativa, concentrazione e controllo, in risposta a suggestioni ipnotiche di diversa difficoltà, corrisponde un minore sforzo cognitivo, evidenziato da una minore frequenza del battito cardiaco, nei soggetti altamente ipnotizzabili, rispetto a quelli scarsamente ipnotizzabili (Sandler e Woody 2006).

Soggetti in Ipnosi Schema riassuntivo (Gruzelier,2006) (Sandles e Woody, 2006)
Altamente Ipnotizzabili
  • Alterazioni significative delle funzioni frontali anteriori
  • Attività frontale aumentate bilateralmente in funzione della durata dell'ipnosi e delle istruzioni ipnotiche
  • Alta flessibilità cognitiva
  • Alta percezione soggettiva di vividezza immaginativa
  • Maggiore concentrazione
  • Maggiore controllo
  • Migliore risposta a suggestioni ipnotiche
  • Minor sforzo cognitivo
Bassamente Ipnotizzabili 
  • Alterazioni delle funzioni frontali non significative e non suscettibili alla durata dell'ipnosi e alle istruzioni ipnotiche
  • Attività frontale non aumentata bilateralmente 
  • Bassa flessibilità cognitiva
  • Bassa percezione soggettiva di vividezza immaginativa
  • Minore concentrazione
  • Minore controllo
  • Minore risposta a suggestioni ipnotiche di diversa difficoltà
  • Maggiore sforzo cognitivo

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