“Però io non canto” spiegò lui. “Lo vedo” disse Alice. “Se riesci a vedere se sto cantando o no, vuol dire che hai la vista molto acuta” le fece notare Humpty Dumpty
Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie

Le persone vivono le proprie esperienze attraverso le modalità sensoriali di cui dispongono: la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto, la cinestesia (tatto, movimento, orientamento).

Come ci insegnano le neuroscienze, tutti questi sistemi sono perennemente in funzione e ci consentono di conoscere e rappresentare il mondo in cui viviamo “a tutto tondo”: probabilmente mangiando una pizza appena sfornata possiamo apprezzarne la fragranza, il gusto, le dimensioni particolarmente generose; oppure per decidere se acquistare un maglione non valuteremo solo la forma e il colore ma anche la morbidezza.

Anche se ogni individuo è dotato di un apparato sensoriale sostanzialmente equivalente a quello di un altro, non esistono due individui che percepiscano in modo esattamente uguale un certo avvenimento.

Ad esempio un bambino alle prese con un pezzo di una costruzione può apprezzarne la superficie liscia, mentre un altro per conoscerlo “lo assaggia” ed un terzo lo sbatte per terra per sentire che suono fa.

Questo vale anche per gli adulti: di una persona appena conosciuta può colpirci l’aspetto piacevole, il suono della voce così acuto o il suo profumo avvolgente. In altre parole, più o meno consapevolmente per ogni esperienza ci focalizziamo principalmente su alcuni canali sensoriali, lasciando sullo sfondo gli altri, di cui di solito non ci accorgiamo finché non vi prestiamo attenzione.

In questo momento, ad esempio, non stiamo facendo caso al fatto di aver caldo o freddo, a meno che non ci venga suggerito da queste righe.

I procedimenti attraverso cui le persone comunicano i propri vissuti riflettono il loro modo di dare forma all’esperienza: è proprio analizzando i predicati utilizzati nei discorsi che è possibile individuare qual è stato il canale sensoriale più importante utilizzato; un abito salta all’occhio per i suoi colori vivaci (predicati visivi), oppure è caldo e confortevole (predicati cinestesici), o produce un gradevole fruscio di stoffe (predicati auditivi); ancora, un sorriso accarezza lo sguardo di chi lo incrocia (predicati cinestesici e visivi). Si noti che non è possibile eliminare la similitudine e asserire semplicemente i fatti che vi stanno dietro, se non si vuole perdere il significato della nostra esperienza.

Le persone, in genere, tendono ad aderire in modo privilegiato all’uno o all’altro canale sensoriale (o rappresentazionale): ci si può rendere conto di questo ascoltando se stessi e i propri interlocutori durante una normale conversazione: uno nota un punto oscuro in quello che gli si sta dicendo, un altro sente una nota stonata , un terzo viene colpito da un argomento in particolare.

In terapia, saper distinguere ed utilizzare i sistemi rappresentazionali aumenta l’efficacia della comunicazione: se ascoltando il cliente ci si rende conto che egli utilizza principalmente termini cinestesici (“Sento di aver toccato il fondo”, “Quando parlo con lei percepisco una fitta proprio qui allo stomaco”), ricalcando gli stessi predicati o la modalità sensoriale di riferimento si può migliorare la capacità di trasmettere concetti ed esperienze e conferire più forza alle proprie osservazioni: in un certo senso si parla la sua lingua. “Ho la sensazione che il suo problema…”, “A pelle direi…”. Questo sia per accrescere l’efficacia dell’intervento, sia per offrire al paziente la possibilità di scegliere un altro canale con cui rappresentarsi i propri vissuti.

“Porto il peso della famiglia sulle mie spalle” afferma un paziente; il terapeuta che voglia assumere la prospettiva del suo interlocutore, la sua mappa, il suo modo di sentire, ha qui la possibilità di parlare del problema nei termini di un peso troppo carico che per qualche motivo l’altro non riesce mai ad appoggiare.

Quasi sicuramente questo non è sufficiente a risolvere la situazione, ma certamente evidenzia una parte dell’esperienza del “portare un peso sulle spalle” offuscata da un modo convenzionale di lettura e che il paziente prende ora in considerazione forse per la prima volta; questi può così oggettivare la sua difficoltà ed accorgersi di avere a disposizione altre risorse che gli permettono di risolverla in modo duraturo o, come minimo, di sentirsi sollevato per un momento dalla fatica che lo sta opprimendo. In effetti, non sarebbe stato lo stesso rispondere di provare a vedere la sua famiglia con un po’ più di distacco: senza indossare la modalità cinestesica espressa dall’interlocutore nel delineare le sue difficoltà, probabilmente non si sarebbe potuto scalfirne la rappresentazione.

Alcuni esempi di enunciati metaforici sensoriali:

  • VISIVI: Sta ingrandendo le cose in modo assolutamente sproporzionato. La vita è così monotona… Ha avuto un passato colorito. Mi chiarisca le idee. Tutto sembra confuso. Ho preso un abbaglio. Non ci ho più visto. L’ho inquadrato. Ha un carattere solare. Ponga le cose in prospettivaSembra proprio piatto e senza significato. Sono contento che la vediamo allo steso modo. L’immagine è scolpita nella mia memoria. Non riesco a vedermi capace. Non è tutto bianco o nero: osserviamo più da vicino.
  • AUDITIVI: La decisione giusta mi urlava nella testa. C’è troppa disarmonia nel nostro rapporto. Odio quella parte piagnucolosa di me. Ti ho capito forte e chiaro. Continuo a ripetermi che non ce la faccio. È fuori tempo. Non è nelle mie corde.
  • CINESTESICI: Dà una sensazione disgustosa. È una persona caldaMi si stringe lo stomaco ogni volta. Il mio lavoro mi sta schiacciando. Ho preso un abbaglio. La pressione è scesa. Sono sbilanciato, come se tutto fosse fuori faseSoppesi i pro e i contro. Ho i brividi. Non so da che verso prenderlo.

BIBLIOGRAFIA
BANDLER R., MACDONALD W. (1988), An insider’s guide to submodalities, Meta Publication, Cupertino, California
BARKER P. (1985), Using metaphors in psychotherapy, Brunner/Mazel Publishers, New York
CARROLL L. (1865), Alice’s adventures in Wonderland, Macmillan, London
GORDON D., 1978, Terapeutic metaphors, Meta Publication, Cupertino, California

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